La diàtriba, o diatrìba[1] (dal lat. diatrĭba, a sua volta dal gr. διατριβή), è una forma di argomentazione della filosofia greca. Il termine contiene in sé il concetto di contrasto, di attrito, che, però, conduce a un risultato positivo; il significato etimologico è quello di consumo del tempo e di tempo dedicato allo studio.
La diatriba è una discussione, conversazione, o conferenza, su luoghi comuni etici che si rivolge a un pubblico generale, più ampio di quello della scuola filosofica di appartenenza. La discussione può assumere connotazione particolarmente violenta e aggressiva e, non di rado, ricorre all'ironia e alla demistificazione. Fu molto usata, in particolar modo, dai cinici e dagli stoici (si parla, a volte, di diatriba cinico-stoica).
L'uso della diatriba risale a Socrate, mentre, nell'età ellenistica, rimanda a Diogene. Bione di Boristene, vissuto tra il 325 e il 255 a.C., la elevò a genere letterario nelle sue Diatribe, tramandate in frammenti. Cicerone vi si riferisce come a trattati di morale destinati al popolo.
La si ritrova nella letteratura latina: ad esempio, nelle Satire di Orazio, che ne riproducono le caratteristiche, e nei Dialoghi di Seneca.
Storicizzazione della parola
[modifica | modifica wikitesto]La parola diatriba viene recepita con sfumature diverse e ciò è testimoniato da significati mancanti di una adeguata esattezza reperibili in Dizionari ed Enciclopedie. Nel Dizionario Enciclopedico moderno del 1942 si legge: «Disputa aspra. Discorso violento contro alcuno, con accuse gravi».[2] Negli anni Settanta del Novecento l'Enciclopedia Curcio fa emergere l'aspetto culturale insito nella parola: «Dissertazione, conferenza di carattere divulgativo».[3] A fine secolo XX l'Enciclopedia Zanichelli dà un più congruo significato al termine, cogliendone l'ambiguità e storicizzandolo, riportandone entrambi i significati: «1 Discussione filosofico - letteraria, ricca di aneddoti, proverbi, spunti satirici che presso gli antichi greci era rivolta ad un pubblico popolare. (...). 2 Discorso violento pieno di accuse, rimproveri e sim.».[4] In ogni caso per diatriba si intende il genere letterario che, nel lavoro di Nicola Terzaghi, accoglie le radici della satira sviluppandosi dallo Stoicismo e dal Cinismo per giungere a Menippo di Gadara: «Il primo vero rappresentante, se non proprio l'inventore, della satira derivata dalla diatriba, ma intesa come componimento a sé (...) fu Menippo di Gadara».[5]
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ DIÀTRIBA O DIATRÌBA?, in La grammatica italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2012.
- ^ Giovanni Bellini (scrittore) e altri, Dizionario enciclopedico moderno, 4 volumi, n. 2, Milano, Edizioni Labor, 1942.
- ^ Gabriella Costarelli (redattore capo) e altri, Enciclopedia universale delle lettere, delle scienze e delle arti, 20 voll., n. 6, Roma, Curcio, 1974.
- ^ Edigeo (a cura di), Enciclopedia Zanichelli, Bologna, Zanichelli - la Repubblica, 1995.
- ^ Nicola Terzaghi, Dalla diatriba alla satira, in Per la storia della satira, Messina, Casa Editrice G.D'Anna, 1944 Ristampa 1976, pp. 7 - 98.
Voci correlate
[modifica | modifica wikitesto]Altri progetti
[modifica | modifica wikitesto]- Wikizionario contiene il lemma di dizionario «diatriba»
Collegamenti esterni
[modifica | modifica wikitesto]- diatriba, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
- Camillo Cessi, DIATRIBA, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1931.
- (EN) diatribe, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.