Complesso universitario di Santa Caterina | |
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Ingresso del complesso di Santa Caterina, con la biblioteca di statistica | |
Localizzazione | |
Stato | Italia |
Regione | Veneto |
Località | Padova |
Indirizzo | Via Cesare Battisti, 241 |
Coordinate | 45°24′16.04″N 11°53′01.78″E |
Informazioni generali | |
Condizioni | In uso |
Uso | Sede dell'Università degli Studi di Padova |
Il complesso universitario di Santa Caterina, già monastero e Pio Conservatorio di Santa Caterina, è la sede del dipartimento di scienze statistiche dell'Università di Padova.[1]
Storia
[modifica | modifica wikitesto]La fondazione della struttura, adibita a monastero di monache agostiniane di Santa Maria Maddalena delle Illuminate, fu decisa all'inizio del Seicento dal vescovo di Padova e realizzata nei pressi della chiesa parrocchiale di Santa Caterina, di edificazione più antica e almeno dal 1377 sede di cerimonie del Collegio dei Giuristi dello Studium patavino. Destinato ad accogliere fanciulle prive di mezzi o dal passato peccaminoso con lo scopo di redimerle, il piccolo monastero ebbe vita fino al primo decennio dell'Ottocento. Dopo un periodo di chiusura e abbandono, il complesso fu utilizzato come pia istituzione con la stessa finalità di accoglienza delle giovinette raccolte dalla strada, indirizzo che l'istituto mantenne fino al secolo scorso con una riconversione, nel Novecento, a collegio destinato all'educazione scolastica elementare.[2]
La fondazione del monastero di Santa Caterina, destinato all'accoglienza delle fanciulle povere e moralmente in pericolo, dette «pericolanti» o «pericolate» si inserisce in una serie di iniziative di intento benefico, educativo e spirituale, rivolte soprattutto alla parte femminile della popolazione, che ebbero particolare vigore a Padova e nei territori limitrofi nel corso dei secoli XVI e XVII. Furono fondati numerosi istituti - il più delle volte a carattere religioso - impegnati nel recupero delle giovani dalla strada e nell'indirizzarle a una vita moralmente accettata e anche nell'insegnamento dei primi rudimenti del sapere, comprensivi di scrittura, lettura e conoscenza del catechismo, oltre che del «saper fare» in relazione all'ambito domestico.[2]
Quello dell'educazione diffusa e impartita il più possibile a tutti gli strati della popolazione femminile era, del resto, un tema molto sentito in quegli anni di passaggio tra Cinque e Seicento nell'intero continente europeo, dove accendeva le discussioni tra quanti la ritenevano impossibile, inutile, o addirittura pericolosa, e quanti invece la sostenevano e la promuovevano. In questo dibattito Padova seppe porsi fin da subito in linea con le più aggiornate istanze culturali e sociali dell'epoca ed è sullo sfondo di queste vicende che va letta l'istituzione del monastero, in seguito Pio Conservatorio di Santa Caterina.[2]
La storia delle monache “Illuminate” che animeranno il monastero di S. Caterina inizia un secolo prima della costruzione del complesso e in un’altra parte di Padova: era il 1528 e la congregazione aveva sede in un’abitazione a S. Croce, nella zona meridionale della città. Probabilmente doveva trattarsi di una comunità non ancora strutturata, che però ben presto crebbe di numero: le monache si trasferirono allora nei pressi della chiesa di Santa Sofia. Qui, con il nome di Santa Maria Maddalena delle Illuminate, esse accolsero «molte femine dal demonio ingannate dopo havere persa la verginità, overo dopo essere state meretrici, [che] pentitesi delli commessi peccati desideravano far penitenza» e vi rimasero almeno fino al secolo successivo, quando l’ampliamento del monastero di Santa Sofia, allora abitato da benedettine, costrinse le monache a un nuovo spostamento. Fu così che il 13 agosto 1627 le monache giunsero nel monastero che le avrebbe ospitate per due secoli, costruito a ridosso della chiesa di Santa Caterina: da quel momento l’edificio religioso sarebbe servito tanto per le madri Illuminate quanto per i fedeli del borgo, generando non pochi problemi di convivenza tra le monache e i parroci impegnati nell’amministrazione dei sacramenti. Si arrivò addirittura a munire la chiesa di due torri campanarie distinte, uno per la parrocchia e uno per le religiose.[2]
Nonostante ciò la famiglia religiosa insediata a Santa Caterina incontrò da subito il favore della popolazione: la costruzione del loro monastero fu finanziata con il concorso delle elemosine di nobili famiglie padovane quali gli Zabarella, gli Orologio, gli Speroni, i Camposampiero, i Frigimelica e i Mazzoleni. Nel corso degli anni alle monache furono destinati beni immobili provenienti da testamenti, donazioni, legati: ben presto il loro patrimonio fondiario si arricchì di possedimenti a Padova e nella campagna circostante, anche se la situazione di prosperità economica era destinata a non durare.[2]
Le conseguenze del "turbine napoleonico" si fecero sentire anche a Padova e, nello specifico, colpirono anche la comunità di monache agostiniane di Santa Caterina: la congregazione fu sciolta, la chiesa divenne sussidiaria di Santa Sofia e le giovani che avevano trovato ospitalità nel complesso ritornarono a carico dei genitori o, più spesso, finirono a elemosinare agli angoli delle strade. Il loro numero crebbe di anno in anno, fino a rendere la situazione insostenibile: fu così deciso di porvi rimedio con la fondazione di nuovi istituti di accoglienza. In questa fase della storia di Santa Caterina si distinse in particolare l'azione di Antonio Malucello, un ex religioso che, come molti, aveva visto lo scioglimento della sua congregazione nel 1810. Rimasto a Padova come sacerdote secolare, dapprima raccolse le fanciulle di strada presso famiglie oneste e le sostentò con il tramite della sua pensione, quindi fondò tre istituti per dare loro ospitalità, tra cui quello del Conservatorio di Santa Caterina.[3]
Tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento alcuni cambiamenti intervennero a modificare l'assetto dei Pii Conservatori. In primo luogo, gli istituti – inizialmente qualificati come "Opera di redenzione alla gioventù" – progressivamente attenuarono questo carattere per divenire semplici collegi, aperti all'accoglienza di giovani educande e finalizzati alla loro istruzione per tutto l'arco delle scuole elementari, piuttosto che al loro "recupero morale".[3]
Nell'agosto del 1985 la comunità di suore Elisabettine di Santa Caterina fu sciolta per mantenere la sola fisionomia comunitaria dei due gruppi-famiglia.
Il grande edificio rimase inutilizzato fino alla fine degli anni novanta quando, in seguito a interventi di restauro e adattamento degli spazi, fu concesso all'università, che ne fece la sede del Dipartimento e della Biblioteca di scienze statistiche.[4]
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ Dipartimento di Scienze Statistiche | Università di Padova, su www.stat.unipd.it. URL consultato il 18 giugno 2024.
- ^ a b c d e Il monastero e Pio Conservatorio di Santa Caterina - Il complesso di Santa Caterina, su mostre.cab.unipd.it. URL consultato il 18 giugno 2024.
- ^ a b Il Pio Conservatorio nell'Ottocento - Il complesso di Santa Caterina, su mostre.cab.unipd.it. URL consultato il 18 giugno 2024.
- ^ Il Novecento: dall'educandato all'università - Il complesso di Santa Caterina, su mostre.cab.unipd.it. URL consultato il 18 giugno 2024.
Bibliografia
[modifica | modifica wikitesto]- Terribile Wiel Marin, V. et al., Giuseppe Tartini e la Chiesa di Santa Caterina a Padova : archeologia, storia, arte intorno alla Chiesa di Santa Caterina d’Alessandria : risultati delle ricognizioni scientifiche delle tombe di Giuseppe Tartini, di Luigi Calza, dei parroci e degli studenti legisti. S.l: s.n., Rubano : Grafiche Turato, 1999.
- Mattone, Antonello; Brizzi, Gian Paolo, Dai collegi medievali alle residenze universitarie / a cura di Gian Paolo Brizzi, Antonello Mattone, Bologna, CLUEB, 2010.
Voci correlate
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