Codex Æsinas manoscritto | |
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Pagina quattrocentesca del codice (c. 69r), contenente i capitoli 14-16 della Germania di Tacito | |
Altre denominazioni | Codice Esinate |
Autore | Tacito e Ditti Cretese |
Amanuense | Monaci di Hersfeld, Stefano Guarnieri |
Epoca | IX secolo, con aggiunte del XV secolo |
Lingua | latino |
Provenienza | Abbazia di Hersfeld, poi Biblioteca Baldeschi-Balleani di Jesi |
Supporto | pergamena |
Scrittura | Carolina (parti alto-medievali) e Umanistica (parti del XV secolo) |
Dimensioni | 264 mm × 211 mm cm |
Ubicazione | Biblioteca Nazionale Centrale di Roma |
Primo curatore | Cesare Annibaldi (per l'Agricola e la Germania) |
Versione digitale | [1] |
Scheda bibliografica | |
Il Codex Æsinas (Codex Latinus Æsinas 8 = Sigle E), o Codice Esinate, è un manoscritto miscellaneo del IX secolo con numerose aggiunte del XV secolo, scoperto per caso nel 1902 a Jesi (da cui il nome) nella biblioteca del conte Aurelio Guglielmi Balleani (1826-1908).
È uno dei manoscritti più antichi giunti fino a noi del Bellum Troianum di Ditti Cretese e dell'Agricola di Tacito, del quale, negli ultimi fascicoli quattrocenteschi, contiene anche la Germania.
Il codice, già di proprietà dei Conti Baldeschi-Balleani di Jesi, venne venduto allo Stato italiano nel giugno del 1994. Oggi è conservato presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Roma (Cod. Vitt. Em. 1631)[1].
Storia
[modifica | modifica wikitesto]Il Codice di Hersfeld
[modifica | modifica wikitesto]Nell'ottobre 1425 un monaco hersfeldense, identicato con Heinrich di Grebenstein[2][3], comunicò a Poggio Bracciolini di aver trovato nell'Abbazia di Hersfeld, importante centro umanistico medievale poco a nord di Fulda, «aliqua opera Cornelii Taciti nobis ignota»[4]. Si trattava del cosiddetto Codex Hersfeldensis ("Codice di Hersfeld"), un manoscritto miscellaneo risalente al IX secolo e comprendente la Germania e l'Agricola di Tacito con il Dialogus de oratoribus e il frammento del De grammaticis et rhetoribus di Svetonio[6].
L'arrivo in Italia
[modifica | modifica wikitesto]Il manoscritto suscitò subito interesse da parte di umanisti e di papa Niccolò V che lo fece arrivare a Roma nel 1455 tramite Enoch d'Ascoli,[5][1] già in missione in Germania, che lo portò insieme ad altri manoscritti originali[5].
Smembramento
[modifica | modifica wikitesto]Tuttavia Niccolò V morì e la curia romana non volle più acquisire il codice. In più il nuovo papa Callisto III si dimostrò presto contrario all'umanesimo. Allora Enoch d'Ascoli lo smembrò in tre sezioni per farne delle copie[1] e rivenderlo e ricavarvi un guadagno più cospicuo. L'ostilità della curia romana contro l'umanismo, spinse Enoch alla fine del 1457 a tornare ad Ascoli Piceno con i suoi libri[5]. Alla morte di Enoch, l'allora governatore delle Marche (e futuro arcivescovo di Milano) Stefano Nardini tentò di ottenere il codice su incarico di Carlo De Medici, ma senza riuscirci[5]. Lo stesso fece il cardinale di Siena Enea Silvio Bartolomeo Piccolomini, futuro papa Pio II, senza che la sua ricerca avesse successo.
Nel marzo 1460 Gioviano Pontano trascrisse per sé, nel seguente ordine e con i seguenti titoli, la parte contenente il Dialogus de oratoribus, il De origine situ moribus ac populis Germanorum e il frammento del De viris illustribus: la sua copia è ora conservata nella Biblioteca dell'Università di Leida[7].
Passaggi di proprietà
[modifica | modifica wikitesto]La parte con il Bellum Troianum e l'Agricola giunse in possesso del notabile osimano Stefano Guarnieri[8], diplomatico e militare pontificio, che verosimilmente si preoccupò anche di integrarlo e di aggiungervi la Germania[8][1].
La biblioteca dei Guarnieri fu conservata dalla famiglia fino al 1793, quando Sperandia Guarnieri, ultima discendente, la spostò a Jesi, nella dimora del marito, conte Nicola Balleani[8].
Riscoperta
[modifica | modifica wikitesto]Il codice venne riscoperto il 29 settembre 1902 nella biblioteca del conte Aurelio Guglielmi-Balleani da Marco Vattasso (1869-1925), prefetto della Biblioteca Apostolica Vaticana[8], che riconobbe nelle cc. 56-63 il più antico testimone dell'Agricola di Tacito e per primo ne diede comunicazione nel novembre dello stesso anno[9]. Nel 1907 Cesare Annibaldi, professore di latino e greco al Liceo Classico Vittorio Emanuele II di Jesi, che era presente al ritrovamento, ne curò l'edizione diplomatica e critica, limitatamente all'Agricola e alla Germania. Il nome Codex Æsinas Latinus 8 deriva dal fatto che fu ritrovato a Jesi (Æsis in latino)[10]
Nel 1929 il codice fu messo in vendita ad un'asta di Sotheby's a Londra, ma rimase invenduto, oppure fu ritirato dalla vendita[1]. Il 18 marzo 1933 fu notificato ai proprietari dalla Sovrintendenza Bibliografica di Bologna, per l'alto valore filologico; è noto agli studiosi come Codice Esinate[1].
La seconda guerra mondiale
[modifica | modifica wikitesto]Durante la Seconda guerra mondiale il Codex Æsinas rischiò di ritornare in Germania[10]. Infatti, nell'opera, gli ideologi del nazismo lessero una giustificazione delle proprie teorie sulla purezza della razza. In particolare, al capitolo IV, il manoscritto presenta la variante quamquam, al posto del limitativo tamquam, che era sentita come più consona alle idee naziste:
«... Io sono d'accordo con quelli che ritengono che i popoli della Germania, non macchiati da nozze con individui di altre nazioni, sono risultati una stirpe a sé stante, pura e simile solo a se stessa. Di qui il medesimo aspetto fisico degli abitanti, sebbene (quamquam) in un così grande numero di individui»
L'altra lezione tamquam, meno gradita ai nazisti, introduceva un elemento limitativo:
«... Di qui il medesimo aspetto fisico, nei limiti in cui lo si può dire (tamquam) di un così grande numero di individui»
[10].
Su consiglio di Alfred Rosenberg ed Heinrich Himmler, Adolf Hitler chiese dunque il codice a Benito Mussolini, che glielo promise. Ma Mussolini, tornato in Italia, dovette scontrarsi con le fortissime resistenze degli studiosi italiani, e fu costretto a rimangiarsi la parola col dittatore tedesco[10]. Dopo l'Armistizio di Cassibile dell'8 settembre del 1943, lo scenario politico internazionale cambiò radicalmente, e un commando delle SS tedesche, ora esercito di occupazione in Italia, fu inviato a fare irruzione nella villa della famiglia Balleani a Fontedamo (periferia est di Jesi) alla ricerca del prezioso codice. Le SS devastarono la casa ma non trovarono nulla. Passarono poi alle altre due proprietà della famiglia Balleani, il Palazzo di Osimo (dove la famiglia si era nascosta in una cantina e riuscì a scampare alla perquisizione) e l'altra nel Palazzo Balleani di piazza Federico II a Jesi. Il codice era proprio lì, nascosto in una cassa di legno dentro un ripostiglio delle cucine, ma non fu trovato e per questo rimase a Jesi, sfuggendo alle mire dei nazisti[10]. Prima dello scoppio della guerra il codice era stato esaminato da Rudolf Till, che nel 1943 pubblicò le fotografie delle carte contenenti l'Agricola e la Germania.[11][1].
Storia contemporanea
[modifica | modifica wikitesto]Negli anni Sessanta il codice fu prestato alla Biblioteca nazionale di Firenze, dove, custodito in una cassetta di sicurezza, venne gravemente danneggiato dall'alluvione del 1966. Venne subito restaurato dal Laboratorio dell'Abbazia di Grottaferrata e rilegato[1].
Riportato a Jesi dal conte Aurelio Baldeschi Balleani, il manoscritto, su iniziativa dei professori del Liceo Classico cittadino, venne estratto dal caveau della Banca Popolare di Ancona e portato in visione per un giorno, a marzo 1988, agli studenti. In quell'occasione venne anche fotografato dal prof. Rivio Lippi, le cui fotografie sono oggi a disposizione del Liceo[10].
Nel 1993, Antonio Maria Adorisio, funzionario del Ministero dei Beni Culturali impegnato nell'acquisto di un altro codice della collezione Baldeschi-Balleani, esaminò il codice di Tacito e un terzo codice con opere di Cicerone e ne propose l'acquisto da parte dello Stato. I tre manoscritti (Vitt.Em.1630, Vitt.Em.1631, Vitt.Em.1632) passarono alla Biblioteca Nazionale Centrale di Roma nel giugno 1994[1].
Descrizione
[modifica | modifica wikitesto]Il Codice Esinate è un manoscritto del IX secolo eseguito principalmente a due mani in scrittura carolina fra l'840 e l'850 circa. Alla prima mano si deve il Bellum Troianum, alla seconda l'Agricola. Presenta le dimensioni di mm 264 x 211, con uno specchio di pagina di mm 200x132. L'impaginatura è impostata su due colonne di 30 righe. Le aggiunte eseguite nel terzo quarto del XV secolo (1451-75) presentano invece una scrittura umanistica realizzata per lo più a una sola mano[1], forse dal suo possessore Stefano Guarnieri che era un doctus copista[8].
Il manoscritto è costituito da nove fascicoli. Quelli risalenti al IX secolo cominciano con il lato pelo; quelli del XV secolo con il lato carne dei fogli pergamena.
Le parti del IX secolo hanno incipit ed explicit solenni in capitale epigrafica, a righe alterne in rosso e oro o verde. I titoli dei libri sono in onciale, in rosso e oro. Alla fine del testo, è disegnato un albero tracciato in inchiostro rosso; letterine rubricate. Le parti aggiunte nel XV secolo riprendono quelle alto-medievali, con titoli rubricati a righe alterne in rosso e nero e letterine rubricate[1].
Fascicolazione
[modifica | modifica wikitesto]Il manoscritto è costituito da 9 fascicoli, con molte carte aggiunte o riscritte nel XV secolo:
- I: bifolio del XV secolo (cc. 1-2);
- II: quaternione (cc. 3-10) costituito da un binione del XV secolo (cc. 3-4, 9-10) in cui è inserito un binione del IX secolo (cc. 5-8);
- III-VII: quaternioni del IX secolo (cc. 11-50);
- VIII: fascicolo di 18 carte (cc. 51-69) costituito da un quinione del XV secolo (cc. 51-55, 64-68) in cui è inserito un quaternione del IX secolo (cc. 56-63);
- IX: quaternione del XV secolo (cc. 69-76)[1].
Edizioni
[modifica | modifica wikitesto]- Cesare Annibaldi (a cura di), L'Agricola e la Germania di Cornelio Tacito nel ms. latino n. 8 della biblioteca del conte G. Balleani in Iesi, Città di Castello, Tipografia della casa editrice S. Lapi, 1907.
- Cesare Annibaldi (a cura di), La Germania di Cornelio Tacito nel ms. latino n. 8 della biblioteca del conte G. Balleani in Jesi, Edizione diplomatica-critica, Leipzig, Otto Harrassowitz, 1910.
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ a b c d e f g h i j k l Roma, Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II, Vittorio Emanuele, Vitt.Em.1631. Scheda manoscritto, su manus.iccu.sbn.it.
- ^ (DE) Ludwig Pralle, Die Wiederentdeckung des Tacitus. Ein Beitrag zur Geistesgeschichte Fuldas und zur Biographie des jungen Cusanus, Fulda, Verlag Parzeller & Co., 1952, p. 23.
- ^ Pöhlmann, p. 153.
- ^ Remigio Sabbadini, Le scoperte dei codici latini e greci ne' secoli XIV e XV, In Firenze, G.C. Sansoni editore, 1905, p. 108.
- ^ a b c d e Paolo Viti, Enoch d'Ascoli, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 42, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1993.
- ^ Per Paolo Viti «forse il vero scopritore fu l'arcivescovo di Milano Bartolomeo Capra, che fu in Germania al seguito dell'imperatore [i.e. re Sigismondo di Lussemburgo] nel 1421»[5].
- ^ Leiden, Bibliotheek der Universiteit, Periz. Q 21, su mirabileweb.it. Una nota rubricata all'inizio recita: «Hos libellos Iovianus Pontanus excripsit nuper adinventos et in lucem relatos ab Enoc Asculano quamquam satis mendosos. M.CCC.LX Martio mense» (c. 1v).
- ^ a b c d e Stefano Simoncini, Stefano Guarnieri, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 60, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2003.
- ^ Monsignor Vattasso, esperto paleografo e già editore di manoscritti letterari vaticani, propose la datazione del codice esinate, dichiarandolo «nelle parti supplite ancor esso del secolo XV, ma nella parte antica assai probabilmente del sec. IX», mai revocata in dubbio (Vattasso, p. 107).
- ^ a b c d e f Patricia Zampini, Codex Aesinas n. 8. Tacito, i suoi manoscritti e il Liceo Classico di Jesi, su liceoclassicojesi.edu.it, 2012 (archiviato dall'url originale il 20 agosto 2013).
- ^ Pöhlmann, p. 154.
Bibliografia
[modifica | modifica wikitesto]- Giuseppina Magnaldi, Svetonio, Tacito e il codice Hersfeldense (I parte), in Prometheus, vol. 23, n. 2, 1997, pp. 119-144, ISSN 0391-2698 .
- Giuseppina Magnaldi, Svetonio, Tacito e il codice Hersfeldense (II parte), in Prometheus, vol. 23, n. 3, 1997, pp. 229-246, ISSN 0391-2698 .
- Francesca Niutta, Sul Codice esinate di Tacito, ora Vitt. Em. 1631 della Biblioteca Nazionale di Roma, in Quaderni di storia, vol. 43, 1996, pp. 173-202, ISSN 0391-6936 .
- (DE) Egert Pöhlmann, Codex Hersfeldensis und Codex Aesinas. Zu Tacitus' Agricola, in Würzburger Jahrbücher für die Altertumswissenschaft, vol. 27, 2003, pp. 153-160, ISSN 0342-5932 .
- (LA) Felice Ramorino, De codice Taciti Aesino nuper reperto, in Atti del Congresso internazionale di scienze storiche (Roma, 1-9 aprile 1903), vol. 2, Roma, Tipografia della R. Accademia dei Lincei, 1905, pp. 227-232.
- (EN) David Schaps, The Found and Lost Manuscripts of Tacitus' Agricola, in Classical Philology, vol. 74, n. 1, gennaio 1979, pp. 28-42, ISSN 0009-837X .
- (DE) Rudolf Till, Handschriftliche Untersuchungen zu Tacitus Agricola und Germania. Mit einer Photokopie des Codex Aesinas, Berlin-Dahlem, Ahnenerbe-Stiftung Verlag, 1943.
- Marco Vattasso, Un codice antico e sconosciuto dell'Agricola di Tacito, in Bollettino di filologia classica, vol. 9, n. 5, novembre 1902, p. 107.