La censura nella Repubblica Popolare Cinese, implementata o imposta dal partito al governo, il Partito Comunista Cinese (PCC), è uno dei regimi di censura più severi al mondo.[1] Il governo censura contenuti per ragioni principalmente politiche, come limitare l'opposizione politica e censurare eventi sfavorevoli al PCC, come la Protesta di piazza Tienanmen, il movimento democratico cinese, il genocidio culturale degli uiguri, il problema dei diritti umani in Tibet, il movimento per l'indipendenza di Taiwan, Falun Gong e le proteste a Hong Kong. Da quando Xi Jinping è diventato Segretario generale del Partito Comunista Cinese (de facto leader supremo) nel 2012, la censura è stata "notevolmente rafforzata".[2]
Il governo esercita la censura su tutti i media in grado di raggiungere un ampio pubblico, ciò include televisione, carta stampata, radio, film, teatro, messaggi di testo, messaggistica istantanea, video games, letteratura, e Internet. Il governo cinese asserisce di avere il diritto legale di controllare i contenuti di Internet all'interno del proprio territorio e che le regole di censura che applica non violano il diritto alla libertà di parola dei cittadini.[3] I funzionari governativi hanno accesso a informazioni non censurate tramite un sistema di documentazione riservato.
A partire dal 2022 Reporter senza frontiere classifica la Cina come uno dei dieci paesi al mondo con la minore libertà di stampa.[4] Nell'agosto 2012 la OpenNet Initiative ha classificato la censura di Internet in Cina come "pervasiva" nell'area della politica e in quella di Conflitto e sicurezza e "sostanziale" in campo sociale e riguardo gli strumenti Internet, le due classificazioni più severe delle cinque utilizzate.[5] Freedom House classifica la stampa cinese come "non libera", la peggiore classifica possibile, affermando che "il controllo statale sui mezzi d'informazione in Cina è ottenuto attraverso una complessa combinazione di monitoraggio da parte del partito dei contenuti delle notizie, restrizioni legali sui giornalisti, incentivi finanziari per l'autocensura"[6] e una crescente pratica di "scomparsa informatica" di materiale scritto da o su blogger attivisti.[7]
Altri punti di vista suggeriscono che aziende cinesi come Baidu, Tencent e Alibaba, alcune delle più grandi imprese Internet del mondo, abbiano beneficiato del modo in cui la Cina ha bloccato il mercato interno ai rivali internazionali.[8]
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ (EN) Lee Fang, Google Executive Declines to Say If China Censors Its Citizens, su The Intercept, 27 settembre 2018. URL consultato il 27 novembre 2022.
- ^ (EN) Simon Denyer, China's Xi Jinping unveils his top party leaders, with no successor in sight, in The Washington Post, 25 ottobre 2017. URL consultato il 25 ottobre 2017 (archiviato il 13 agosto 2019).
- ^ (EN) Michael Bristow, China defends internet censorship, in BBC News, BBC, 8 giugno 2010. URL consultato il 20 gennaio 2017 (archiviato il 1º luglio 2019).
- ^ (EN) Press Freedom Index, su Reporters Without Borders. URL consultato il 23 giugno 2022.
- ^ (EN) China, in Country Profiles, OpenNet Initiative, 9 agosto 2012. URL consultato il 2 settembre 2014 (archiviato il 9 ottobre 2014).
- ^ (EN) Ashley Esarey, Speak No Evil: Mass Media Control in Contemporary China (PDF), Freedom House, 9 febbraio 2006. URL consultato il 27 novembre 2022 (archiviato il 28 marzo 2020).
- ^ (EN) CMB special feature: Cyberdisappearance in Action, in China Media Bulletin:, n. 29, Freedom House, 14 luglio 2011 (archiviato dall'url originale il 1º dicembre 2017).
- ^ (EN) Carrie Gracie, Alibaba IPO: Chairman Ma's China, in BBC News, BBC, 8 settembre 2014 (archiviato il 2 luglio 2019).
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