Giovan Battista Vegezzi nasce a Laveno « ..alle ore 10 di sera del dì 29 Dicembre, 1789. Figlio del Signor avvocato Don Giovanni Maria, del fu Signor Angelo Maria, e della Signora Donna Giovanna Bossi, del fu Signor Giuseppe di Bodio, legittimi consorti di Laveno.» La loro casa si trovava nell’attuale Via Labiena, al n° 33. Viene battezzato due giorni dopo, il 31 Dicembre 1789, col nome di “Giovan Battista Maria Baldassarre”, dal parroco don Saverio Monteggia . Dopo gli studi del Liceo-Ginnasio e quelli teologici, svolti tutti nei seminari della diocesi di Milano (dove «[...]sotto la condotta degli Oblati, meritava talmente di sè da primeggiare sempre fra i colleghi», domenica 31 Gennaio 1813, fu ordinato al presbiterato . Dal 1812 al 1821 è docente nei seminari, ricoprendo vari insegnamenti: Grammatica, Umanità, Retorica, Filosofia. Nel 1822 lo troviamo incaricato della cattedra di Teologia Morale e Pastorale Pratica nel Seminario teologico di Porta Orientale, oggi Porta Venezia e svolse tale insegnamento fino al 1858. In quel Seminario, ebbe modo di mettersi in luce: «…sia per l’ingegno acutissimo, per lo studio accuratissimo della più sana dottrina e per il continuo insegnamento, sia per umiltà e santità di vita» . La sua opera fu molto apprezzata e stimata tanto da diventare un ascoltato e richiesto consigliere di ben due Arcivescovi di Milano: Carlo Gaetano Gaisruck (1818-1846) prima, e in seguito Bartolomeo Carlo Romilli (1847-1859). Infatti entrambi gli arcivescovi gli affidarono, nel corso degli anni, delicati e importanti incarichi: il primo gli affidò il compito della revisione e stesura dei Casi di coscienza Riservati all’ Arcivescovo (1841); il secondo lo volle con sé nel viaggio (1853) alla corte di Vienna, presso l’Imperatore Francesco Giuseppe, per le trattative del nuovo Concordato tra la Santa Sede e l’Impero Austriaco. La parte più rilevante della sua opera è tuttavia la lunghissima permanenza nei seminari milanesi come insegnante e come Prefetto degli Studi. A tal scopo ben si può leggere la seguente : «A memoria ed onore di Giovan Battista Vegezzi che ha meritatamente conseguito illustre nome in patria e al di fuori per gli studi e l’insegnamento di etica cristiana, che nel seminario per 46 anni fino all’estremo insegnò con zelo. Nel dirimere e risolvere questioni ecclesiastiche dimentico di sé, solerte per tutti, operò senza sosta. I responsabili del seminario all’ottimo sacerdote e ricercatissimo maestro posero. Deceduto alle None di Agosto dell’ Anno 1858. Ad anni 69». Quarantasei anni di insegnamento: un periodo rilevante che gli ha consentito di conoscere in profondità un’enorme numero di futuri preti, di partecipare alla vivace vita intellettuale e politica milanese e di incidere sulla formazione di intere generazioni di giovani, in un modo che non trova paragoni tra i docenti del Seminario Teologico di Milano. conosciuto e stimato da personalità di alto profilo religioso e intellettuale come Antonio Rosmini e Luigi Biraghi . La sua notorietà è continuata anche dopo la sua morte. Infatti più di 50 anni più tardi, nel 1911, la terza edizione dell’Indice Letterario del gesuita Hugo Hurter (professore di teologia dogmatica all'università di Innsbruck), ancora lo censisce tra i teologi cattolici di rilievo: «Giovan Battista Vegezzi, della Congregazione degli Oblati dei Santi Ambrogio e Carlo. Per 46 anni professore di teologia morale nel seminario milanese, compose le Istituzioni di Teologia Morale, 4 tomi, Milano 1849-50; a cura del discepolo Antonio Daverio nel 1868, si trasse dagli appunti di lui il trattato De Iniuriis. Collaborò all’ edizione dei fascicoli ‘L’ Amico Cattolico’ […]».Tra le innumerevoli opere curate e seguite da don Gian Battista ci fu infatti spazio anche per una rivista, pensata non solo per il clero ma per entrare in dialogo con la società e con il mondo culturale milanese e fu appunto: ‘L’Amico Cattolico’. Egli, sebbene immerso in cariche e responsabilità che, anche oggi diremmo gravi e vaste, non si rifiutò tuttavia di occuparsi del territorio di Laveno colpito dal colera e dei sacerdoti della Pieve di Leggiuno. Aveva la scienza del grande teologo e al tempo stesso l’umiltà del curato di campagna, nella sua esistenza si trova radicato e vissuto il senso delle parole dell’apostolo Paolo, nella 1^ Lettera ai Corinzi 13,13: «Queste dunque le tre cose che rimangono: la Fede, la Speranza e la Carità; ma di tutte più grande è la Carità». A Laveno tornava spesso, soprattutto in estate, durante le vacanze per il termine delle lezioni del Seminario teologico. Ed è a Laveno che trova infine termine la sua esistenza terrena. Il Liber chronicus della Parrocchia di Laveno è molto preciso nel registrare: «un male al fegato che già lo insidiava rincrudì, si aggiunse il tifo e il 6 Agosto, il primo dì della Novena di Santa Maria Assunta, confortato dei Sacramenti fra il compianto di tutti [quelli] che lo conobbero moriva alla terza». Ebbe sepoltura: «Nel cimitero dove già alcuno de’ parenti suoi riposava, non permettendo la legge l’inumazione in Chiesa di Santa Maria, nel sepolcro che i Marzoli dividevano con i Vegezzi ».
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