Al-Jdayde (in arabo جديدة ?, anche trasl. al-Jdeideh, al-Judayda, al-Jdeïdé o al-Jadida) è un quartiere storico nella città siriana di Aleppo. L'area è stata gravemente danneggiata durante la guerra civile siriana.
Storia
[modifica | modifica wikitesto]XIV - XV secolo
[modifica | modifica wikitesto]Alla fine del periodo mamelucco, al-Jdayde era un piccolo sobborgo che comprendeva piccole attività commerciali situate al di fuori delle mura a nord della città, vicino ai cimiteri e alle aree di stoccaggio. Lo sviluppo del centro abitato lungo le strade che collegano i villaggi vicini a nord e nord-est con Bab al-Nasr, una delle nove porte storiche della Città Antica, ha progressivamente integrato Jdayde nella città di Aleppo.
Nel XIV secolo questi quartieri ospitavano moschee nelle quali aveva luogo la Khuṭba, intervallate da splendide fontane zampillanti, con giochi d'acque ed effetti a sorpresa. Nel 1490-1491 fu ulteriormente ampliata la rete di acquedotti cittadini per supportare l'ulteriore estensione del quartiere e l'apertura di pubblici lavacri, termali o religiosi.[1] Nella parte occidentale di al-Jdayde si trovavano i cimiteri cristiani e probabilmente anche i resti di antiche chiese del periodo bizantino, come l'antico insediamento cristiano di Salibeh[2], non distante da Piazza Farhat, nel quale furono ricostruite le principali chiese della città: la Chiesa armena di quaranta martiri, ampliata nel 1490[3], le chiese greco-ortodossa, maronita e siriaca. La maggior parte della popolazione era costituita da mercanti armeni, dediti ai commerci con la Persia e con l'India.
XVI e XVII secolo
[modifica | modifica wikitesto]Durante la dominazione ottomana del XVI e del XVII secolo, il quartiere fu suddiviso in lotti rettangolari[4] e nella zona centrale vennero aperti due grandi waqf islamici, uno dei quali rimasto attivo fino al XX secolo. L'area fu progressivamente colonizzata da illustri e facoltosi residenti. Edifici religiosi e dimore private condividevano la stessa sobrietà stilistica, con l'assenza di facciate sui rilievi esterni, in particolare sulle vie più frequentate. Non di rado le entrate erano poste alla fine di cul-de-sac specificamente creati.
Questi due complessi architettonici, con facciate riccamente decorate e una disposizione regolare, ospitavano la maggior parte dei servizi commerciali e sociali del quartiere, dove musulmani e cristiani, ricchi e poveri, vivevano fianco a fianco.[5] Nei dintorni si potevano trovare esempi architettonici in grado di coniugare la bellezza dell'arte araba con la funzionalità culturale e mercantile del luogo, quali: una fontana di fronte al quartiere cristiano, un caffè, un grande hammam, una piccola moschea e una scuola islamica, un mercato di stoffe, quattro grandi officine tessili, un vasto magazzino di cereali, e varie altre.[6]
Il sultano Murad IV si avvalse della collaborazione dei dragomanni dell'ex Stato crociato siriaco per attrarre i commercianti stranieri nel porto di Aleppo.[7][8]
XX e XXI secolo
[modifica | modifica wikitesto]Gli anni 1990 e 2000 si caratterizzarono per il rilancio turistico e commerciale dell'area a livello nazionale e internazionale[9][10], permeata da un tipico profumo di fiori Jasmin.[11]
Molti dei palazzi storici furono riqualificati come musei, boutique, hotel e ristoranti, fra i quali: Beit Wakil[12], Beit Ghazaleh[13], Dar Zamaria, Beit Achiqbash, Beit Sader, Beit Sissi, Dar Basile[14] e Beit Dallal.[15][16]
Contestualmente, furono ristrutturate anche la piazza centrale (Sahat Farhat) e Sahat Al Hatab. Il quartiere fu coinvolto in prima linea durante la guerra civile siriana, scoppiata ad Aleppo nel 2012.[17][18][19] Nell'aprile del 2015, si verificarono esplosioni sotterranee (a Sahat Al Hatab[20][21][22][23]) che recarono gravi danni a luoghi storici come Beit Ghazaleh, l'ex mercato cristiano di Beit Achiqbash e Waqf governativo di Ibshir Mustafa Pasha.
Terminato il conflitto dopo quattro anni di scontri fra le forze rivali[24][25][26], la DGAM e l'UNESCO hanno censito a novembre del 2017 i monumenti storici dell'area, per futuri interventi di consolidamento e di protezione da eventuali emergenze.[27][28][29] Il primo di questi ha interessato la piazza di Sahat al Hatab, con il riempimento delle buche nel 2017 e la rimozione dei detriti l'anno successivo.[30][31]
Galleria d'immagini
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Finestre di Dar Zamariya ad al-Jdayde (cartolina datata fra il 1918 e il '22)
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Beit Sissi, un palazzo storico ristrutturato come piano bar
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Il vicolo di Hokedun nel quartiere armeno di al-Jdayde
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Uno stretto vicolo verso piazza Farhat
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Beit Wakil, un palazzo ristrutturato e trasformato in un hotel-boutique
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Una scuola armena nel vecchio quartiere di al-Jdayde
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Coorte di Beit Achiqbash, divenuta la casa-museo Ajikbash
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Interno del Beit Sader, immagine del 1880
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Dar Zamaria, un palazzo trasformato in hotel boutique
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Vicolo di Al-Yasmeen nel quartiere di al-Jdayde
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Dar Basile ad al-Jdayde
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Segnali stradali bilingui che si riferiscono alle posizioni della chiesa di al-Jdayde
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ Sauvaget, Jean (1941) Alep, essai sur le développement d’une grande ville syrienne des origines au milieu du XIXe siècle., texte et album, librairie orientaliste Paul Geuthner, Paris : Carte des canalisations mameloukes, p. 182.
- ^ Heghnar Zeitlian Watenpaugh (2004), The image of an Ottoman city: imperial architecture and urban experience in Aleppo in the 16th and 17th centuries, Leiden: EJ Brill, pp. 158-9
- ^ Sauvaget (1941) p. 179.
- ^ David, Jean-Claude. (1982) « Urbanisation spontanée et planification (archiviato dall'url originale il 9 ottobre 2018). » Les cahiers de la recherche architecturale, n°10-11.
- ^ (EN) Philip Mansel, Aleppo: The Rise and Fall of Syria's Great Merchant City, I.B.Tauris, 2016, p. 28, ISBN 978-1-78453-461-5.
- ^ David, Jean-Claude, (2004) « La production de l’espace dans la ville ottomane. » Les relations entre musulmans et chrétiens dans le Bilad al-Cham, p. 178–179.
- ^ (EN) Diana Darke, Syria, Bradt Travel Guides, 1º gennaio 2010, ISBN 978-1-84162-314-6.
- ^ Bernadette Bairs-Zars, Developing heritage: activist decision-makers and reproducing narratives in the Old City of Aleppo, Syria (PDF), in Thesis Massachusetts Institute of Technology, Dept. Of Urban Studies and Planning, maggio 2017, p. 183.
- ^ Stefano Bianca, Peter Davies, Wolfgang Fülscher (1981-3) The Re-development of the Bab Al-Faraj Area in Aleppo (PDF), UNESCO PARIS p. 9 (36)
- ^ (EN) Lamia Sabbagh, Aleppo Houses, su prezi.com, 15 novembre 2016. URL consultato il 23 luglio 2017.
- ^ (EN) Maryam Maruf and Kanishk Tharoor, Return to Aleppo: The story of my home during the war, in BBC News, 10 giugno 2017. URL consultato il 10 giugno 2017.
- ^ Aleppo | Bayt Wakil | Archnet, su archnet.org. URL consultato il 17 maggio 2017.
- ^ Courtyard view to iwan | Archnet, su archnet.org. URL consultato il 17 maggio 2017.
- ^ Bayt Basil | Detail of tiles in courtyard | Archnet, su archnet.org. URL consultato il 17 maggio 2017.
- ^ Bayt Dallal | Courtyard view towards reception hall | Archnet, su archnet.org. URL consultato il 17 maggio 2017.
- ^ (FR) Eusèbe de (1796-1873) Auteur du texte Salle, Pérégrinations en Orient, ou Voyage pittoresque, historique et politique en Égypte, Nubie, Syrie, Turquie, Grèce pendant les années 1837-38-39. T. 2 / par Eusèbe de Salle,..., 1840.
- ^ Syria: Christians take up arms for first time, in Telegraph.co.uk. URL consultato il 9 dicembre 2016.
- ^ (EN) Aleppo's famed Old City left 'unrecognisable' by war, in Al-Monitor, 1º gennaio 2017. URL consultato il 1º gennaio 2017.
- ^ (FR) Jean-Claude David e Thierry Boissière, La destruction du patrimoine culturel à Alep : banalité d'un fait de guerre ?, in Confluences [en] Méditerranée, vol. 89, n. 2, 2013, DOI:10.3917/come.089.0163.
- ^ (EN) Old Aleppo: Tunnels were exploded and bombings with TNT barrels – APSA, su apsa2011.com, 15 maggio 2015. URL consultato il 20 maggio 2017 (archiviato dall'url originale il 4 ottobre 2016).
- ^ jdeideh jdayde, Al Jdeideh Jdayde April 2015 Sahet Al-Hatab Square Aleppo, 30 aprile 2015. URL consultato il 9 dicembre 2016.
- ^ (EN) Damage Assessment of Aleppo, Aleppo Governorate, Syria (10 Jul 2015), in ReliefWeb, 22 luglio 2015. URL consultato il 9 dicembre 2016.
- ^ (EN) ASOR Cultural Heritage Initiatives Weekly Report 38 (April 27, 2015), in ASOR Cultural Heritage Initiatives, 28 maggio 2015. URL consultato il 3 gennaio 2017.
- ^ (EN) Aleppo's famed Old City left 'unrecognisable' by war, in Al-Monitor, 30 dicembre 2016. URL consultato il 30 dicembre 2016.
- ^ Ministry of Culture Directorate General of Antiquities & Museums (2017) STATE PARTY REPORT On The State of Conservation of The Syrian Cultural Heritage Sites (Syrian Arab Republic), 1 February 2017, available on http://whc.unesco.org/document/155953
- ^ Aleppo After the Fall, su nytimes.com. URL consultato il 27 maggio 2017.
- ^ Art Graphique & Patrimoine, Relevé et nuage de points de Beit Ghazaleh, Alep - Syrie (mission UNESCO), su youtube.com, 28 novembre 2017. URL consultato il 9 ottobre 2018.
- ^ (EN) Can technology help restore Syria's lost archaeological heritage?, in The National. URL consultato il 9 ottobre 2018.
- ^ Out There, Can We Rebuild Aleppo Using New Technologies?, su outthere.fr. URL consultato il 9 ottobre 2018 (archiviato dall'url originale il 18 settembre 2020).
- ^ Aleppo's Old City can be rebuilt: UNESCO, in The Daily Star Newspaper - Lebanon, 4 agosto 2017. URL consultato il 5 giugno 2018 (archiviato dall'url originale il 9 ottobre 2018).
- ^ (EN) Sergei Pushkarev, Slowly but steadily, Aleppians remove debris from streets, thanks to @UndpSyria @swissDev @JapanGov paving the way for livelihoods and economic activity coming back to this majestic city, in Twitter. URL consultato il 9 ottobre 2018.
Voci correlate
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