Napoleone Bonaparte e l'arrivo della flotta d'Inghilterra
[modifica | modifica wikitesto]Nel 1789 scoppiò in Francia la rivoluzione contro la monarchia assoluta (i francesi distruggevano il loro Ancien Régime), il cui popolo dichiarò la Repubblica. Ciò scatenò in tutta Europa agitazioni e conflitti che si basavano sull'accettare o non accettare i nuovi principi proposti dai francesi. La maggior parte dei monarchi europei inveì contro tali ideologie liberali e si oppose alla Francia rivoluzionaria, che dal 1792 aveva dichiarato ufficialmente guerra all'assolutismo (guerre rivoluzionarie francesi). Fu questo il contesto nel quale mosse i primi passi il generale corso Napoleone Bonaparte.
Il primo Napoleone e la storia di Siracusa
[modifica | modifica wikitesto]Il giovane Napoleone, immerso negli studi classici, si concentrò sulle vicissitudini della Siracusa greca: egli scrisse nel 1786 (a 17 anni) un testo intitolato Parallèle entre l'amour de la patrie et l'amour de la gloire (Parallelo tra l'amore per la patria e l'amore per la gloria)[1] che aveva per protagonisti le figure storiche di Siracusa e il conflitto interno di Napoleone sulle sorti della sua patria: la Corsica. Il contesto è quello della guerra civile siracusana del 357 a.C.; da un lato vi è Dione, in lotta contro il tiranno Dionisio II, dall'altro i suoi "eroi" francesi: Turenne e Luigi II di Borbone-Condé (che egli chiama grand Condé e paragona a Dione), definiti come «deux plus grands hommes de la France» corrotti però dall'ambizione:
«Fuis Denys, fuis donc de ces rives, ci-devant le théatre de tes cruautés. Dion a déja arbore dans Syracuse l'étendard de la Liberté, mais l'effet surprenant de la jalousie [...] se glisse dans le coeur des Syracusains. Les insensés! ils osent prendre les armes contre leur sauveur; ils attaquent de toutes parts la légion qui vient de les délivrer et qui reste fidéle à ce héros qui la conduit [...] Est-ce l'amour de la gloire qui lui a dicté cette harangue sublime? Qu'eût fait le grand Condé?... Dites, messieurs, que croyez-vous qu'eût fait le grand Condé dans cette circostance? Syracuse! Syracuse, tu aurais porté longtemps la peine de ton ingratitude.»
«Scappa Dionisio, scappa da queste coste, davanti al teatro della tua crudeltà. Dione ha già esposto a Siracusa lo stendardo della libertà, ma l'effetto sconcertante della gelosia [...] scivola nel cuore dei siracusani. Stolti! Osano prendere le armi contro il loro salvatore; attaccano da tutti i lati la legione che li ha appena liberati e rimane fedele a questo eroe che la guida [...] È l'amore della gloria che gli ha dettato [a Dione] questa sublime arringa? Cosa avrebbe fatto il gran Condé?... Dite, signori, cosa pensate che il gran Condé avrebbe fatto in questa circostanza? Siracusa! Siracusa, avresti a lungo dovuto patire il dolore della tua ingratitudine.»
Napoleone nel suo manoscritto si identificò con Dione[2]: egli, già entrato nell'esercito francese, si vide nelle gesta del siracusano discepolo di Platone (Dione fu inoltre cognato di Dionisio I e zio di Dionisio II), e dopo aver terminato quest'opera, egli ritornò in Corsica, animato da nuovo spirito combattivo: nutriva all'epoca sentimenti ostili verso la Francia (vista come conquistatrice della sua antica isola);[2][3] sentimenti che però non ebbero un seguito (negli anni a venire si legherà sempre di più ai francesi).
Il padre del romanticismo, l'inglese William Wordsworth, nel 1816 scrisse un poema intitolato Dion (anch'esso dedicato al siracusano scelto da Bonaparte), e molti storici sostengono che Wordsworth rivedesse in Napoleone l'erede di quel Dione di cui tempo addietro scrisse proprio il giovane Bonaparte[4] (altri storici sostengono invece che il Dione di Wordsworth fosse troppo nobile per essere l'alter ego bonapartista,[5] e che Wordsworth attenuò di proposito i crimini commessi da Dione durante la guerra[6]).
Per ironia della sorte, tuttavia, Napoleone Bonaparte sarà infine da numerosi storici giudicato, per azioni e ideologia, come uno di quei celebri tiranni aretusei additati dal giovane corso: vi è stato chi lo ha paragonato a Dionisio I[7][8] e chi a Dionisio II.[9][N 2] Napoleone non conosceva la lingua greca antica, quel che apprese su Siracusa lo dovette a traduttori francesi come Charles Rollin (che scrisse alcuni dei suoi libri preferiti, che egli porterà con sé anche durante l'esilio a Sant'Elena).[2] Interessanti anche i suoi appunti e le sue note ai margini dei suoi manoscritti su fatti cruciali riguardanti la storia siracusana e siciliana.[N 3]
L'occupazione di Malta
[modifica | modifica wikitesto]Dapprima caddero le diverse realtà autonome più vicine alla Francia, come quelle dell'Italia del nord, tutte conquistate dai rivoluzionari e da Napoleone (che s'impegnò nella campagna d'Italia del '96 e'97). Vennero quindi istituite tante Repubbliche dette Sorelle, che dipendevano dal volere dei francesi. Il generale corso fece arrestare nel 1798 pure il papa, invadendo lo Stato Pontificio e sostituendolo con la Repubblica Romana (altra Repubblica sorella di Francia).
«Général Desaix... Vous recevrez incessamment des ordres pour partir le 15. Côtoyez toutes les côtes de Naples; passez le phare de Messine et mouillez à Syracuse, ou dans toute autre rade, dans les environs. Notre point de réunion sera sur Malte.»
«Generale Desaix... Riceverete presto degli ordini per partire il 15. Fiancheggiare tutte le coste di Napoli; passare il Faro di Messina e ancorare a Siracusa, o in qualche altra rada della zona. Il nostro punto d'incontro sarà Malta.»
Sulla strada per Malta s'incrociarono per la prima volta i cammini di Bonaparte e dei siracusani, sorgendo la città aretusea sulla rotta marittima che conduceva alla base dei cavalieri giovanniti.[N 4] Fin dall'aprile del 1798 Napoleone aveva ordinato al suo generale Louis Charles Antoine Desaix di gettare l'ancora a Siracusa (o in qualcuna delle rade del siracusano) e aspettare il sopraggiungere dell'Armée française, che sarebbe salpata da Tolone (Desaix doveva invece giungere nel siracusano partendo dalla conquistata città laziale di Civitavecchia); in seguito, Napoleone avrebbe mandato un altro dispaccio a Desaix con il quale lo avvisava del suo imminente arrivo, per cui i francesi avrebbero dovuto lasciare Siracusa e recarsi a Malta[N 5]; per conquistarla.[14]
Il motivo che spingeva Napoleone a voler ancorare a Siracusa con serenità era dato dal fatto che esisteva un trattato di neutralità (a vantaggio della Francia) che le città dei Borbone si erano impegnate a mantenere nelle guerre rivoluzionarie: trattato di Parigi dell'ottobre 1796 (ratificato dall'armistizio di Brescia). Ciononostante, la presenza dell'Armée française in acque siracusane (avvertita dal maggio di quell'anno) creò grande agitazione: numerose potenze estere offrirono la loro alleanza a re Ferdinando III, non fidandosi affatto dei progetti di Napoleone; tutti convinti che il suo obiettivo fosse la Sicilia[15] (a ciò si aggiunga che da quando era caduta la Repubblica di Venezia, la flotta veneta era stata posta al servizio dei francesi ed essa incrociava pericolosamente nel mare siracusano[16]).
Napoleone Bonaparte negli ultimi giorni di maggio sfiorò, a bordo dei vascelli da guerra francesi, il porto di Siracusa, ma tirò dritto,[17] portando la sua squadra alle porte di Malta, porgendo un ultimatum ai cavalieri, i quali, essendo la maggior parte di essi d'origine francese, non opposero molta resistenza e consegnarono l'isola alla Francia. Così, nuovamente errante, l'Ordine si diresse in Russia, in cerca d'aiuto.
Tra i cavalieri gerosolimitani che restarono sull'isola sotto il comando di Napoleone va segnalato il siracusano Gaetano Abela: egli, all'epoca ventenne, si era offerto volontario nella guerra contro gli Stati barbareschi e quando l'Ordine era stato cacciato, Abela, essendo divenuto amico dell'aiutante di campo di Napoleone, Louis Girard, ed avendo il re di Napoli e Sicilia Ferdinando IV rifiutato la sua domanda per entrare a far parte della Regia Marina borbonica (nei primi tempi successivi alla conquista maltese vi era grande astio contro i cavalieri gerosolimitani, definiti tutti traditori), aveva deciso di rimanere al fianco dei francesi (egli diverrà nei prossimi decenni una delle figure di spicco del panorama rivoluzionario siracusano).[18]
Dopo l'occupazione dell'isola, Napoleone levò l'ancora e approdò nel luglio del 1798 alla baia di Abū Qīr (Alessandria d'Egitto).
Il primo approdo di Nelson
[modifica | modifica wikitesto]Mentre i francesi si preparavano alla conquista delle piramidi, approdava il 19 luglio a Siracusa - alla frenetica ricerca di Napoleone - l'ammiraglio Horatio Nelson con la flotta d'Inghilterra.[19]
L'approdo di Nelson a Siracusa non fu per nulla facile: gli inglesi (ai quali la Francia aveva da tempo dichiarato una guerra severissima, ricambiata apertamente dalla Gran Bretagna) navigavano da più di un mese nel Mediterraneo, senza riuscire a scovare le navi di Napoleone (il quale aveva tutto l'interesse ad evitare lo scontro su mare con le più esperienti ciurme rivali); Nelson aveva saputo della presa di Malta mentre chiedeva informazioni presso le coste di Napoli, il 17 giugno, e da quel momento aveva dato un'accelerazione tale alla sua flotta che, intuendo il piano orientale di Napoleone, aveva sfiorato e superato i francesi verso Creta senza accorgersene.[20] Giunto ad Alessandria non trovò il nemico, timoroso che Napoleone avesse deciso di attaccare la Sicilia,[N 6][21] decise di tornare indietro, recarsi a Siracusa e da qui fare il punto della situazione.[22]
Tuttavia, una volta avvicinatosi alla costa siciliana non ebbe il permesso di entrare nel porto: Siracusa, infatti, era vincolata a quel patto di neutralità sopracitato, stipulato tra il suo re e la Francia. Fu solo con l'intervento di Emma Hamilton (moglie dell'ambasciatore inglese a Napoli, Sir William Hamilton, e confidente della regina Maria Carolina d'Asburgo-Lorena; moglie del re Ferdinando) che Nelson ottenne dal governo di Siracusa il permesso di approdare (in aperta violazione del trattato di neutralità con i francesi).[23]
Horatio Nelson ricorderà come fatto di vitale importanza l'intercessione di Emma (anche se secondo numerosi storici dietro la violazione vi era l'operato del più potente John Acton[24][N 7]):
«...la flotta inglese da me comandata non avrebbe potuto tornare in Egitto, se lady Hamilton, profittando dell'amicizia colla quale onorava la regina di Napoli, non avesse impegnato questa principessa a scrivere al governo di Siracusa, per autorizzarlo a fornire alla mia flotta tutto ciò che occorresse. Noi entrammo nel porto di Siracusa, vi ricevemmo ogni sorta di rinfreschi e di provvisioni; questi soccorsi ci posero in grado di passare in Egitto e distruggervi la flotta francese. Se io stesso avessi potuto riconoscere così importanti servigi, non invocherei oggi su questi la riconoscenza della mia nazione [...]»
Festose furono le accoglienze tributate dai siracusani all'inglese[N 8][26] e grandi gli onori accordati dal Senato della città alla sua flotta (anche perché i senatori aretusei avevano ricevuto ordine dal Viceré di Sicilia Filippo Lopez y Royo di concedere alla «grande nazione amica» tutte le attenzioni di cui questa necessitava; un altro principio violato del patto di neutralità[27]).
Nelson e i suoi uomini avevano bisogno di viveri, data la lunga permanenza in mare, e di acqua. Siracusa era famosa per avere al suo interno una fonte d'acqua dolce che per millenni aveva consentito alla sua popolazione di resistere ai numerosi assedi, anche a quelli più cruenti, senza dover mai patire per lo meno la sete: la fonte Aretusa (il cui appellativo deriva dalla ninfa siracusana Aretusa, protetta di Artemide[N 9]). L'abbondanza di materie prime era probabilmente il motivo che aveva spinto Nelson in questo luogo della Sicilia.[28]
L'ammiraglio di Sua Maestà Britannica fu talmente soddisfatto del rifornimento effettuato[N 10] che durante il suo soggiorno siracusano in una lettera agli Hamilton (ma indirizzata particolarmente ad Emma, con la quale intraprenderà presto un rapporto amoroso che farà discutere) scrisse:
«Miei cari amici, grazie al vostro operato abbiamo ottenuto viveri e acqua e certo, poiché abbiamo bevuto alla fonte di Aretusa, ho tutte le ragioni di credere che riporteremo la vittoria. Al primo vento favorevole isseremo le vele, e state certi che tornerò coperto di allori o di cipresso!»
Nelson attribuiva all'acqua prelevata dall'antica fonte un forte simbolismo benefico[N 11] (in un'altra traduzione della sua lettera egli afferma: «e con l'acqua della fonte Aretusa, dobbiamo immancabilmente trovar la vittoria[29]»). Stette cinque giorni in città, fece riposare la truppa, aspettò il vento favorevole e poi ripartì, giorno 25 luglio 1798, deciso a scovare Napoleone.[30] (solo un giorno prima della sua partenza, il 24 luglio, Napoleone Bonaparte faceva il proprio solenne ingresso nella città de Il Cairo, dichiarandosi «protettore dell'Islam», poiché aveva distrutto l'Ordine dei cavalieri di Malta, e proclamandosi «governatore supremo dell'Egitto»[31])
I francesi in Egitto, e lo stesso Bonaparte, sapevano dell'arrivo di Nelson a Siracusa, dei suoi tentativi per riuscire ad entrarvi e della sua partenza, in quanto informati dalle navi di Malta.[N 12][N 13]
La riconquista di Malta e il secondo approdo di Nelson
[modifica | modifica wikitesto]Pochi giorni dopo la partenza di Nelson dal porto aretuseo, l'1 e 2 agosto, avvenne la battaglia del Nilo, nella quale la flotta del contrammiraglio inglese sconfisse la rivale napoleonica.
Il console francese alla corte di Napoli, Monsieur La Cheze, incaricato degli Affari per la Repubblica di Francia, presentò al governo di Ferdinando una nota nella quale si richiedeva l'espulsione di John Acton e la consegna del governatore militare di Siracusa, Giuseppe Della Torre, nelle mani della giustizia francese; i due colpevoli principali, secondo l'entourage di Napoleone,[N 14] del supporto ottenuto da Nelson[32] (si chiedeva, inoltre, che tutti i porti del Regno, compreso ovviamente quello di Siracusa, passassero sotto amministrazione francese, la quale non avrebbe più permesso violazioni del trattato di neutralità[33]).[N 15]
Gli eventi che seguirono la battaglia del Nilo furono decisamente numerosi e concentrati in un breve arco di tempo: anzitutto, dopo aver sconfitto e distrutto la flotta dei francesi (bloccando così Napoleone in terra egizia), il volere di Nelson era quello di fare immediato ritorno a Siracusa, scelta come sua base principale,[35] dove riparò con le navi a seguito della battaglia,[36] cogliendo l'occasione per far giungere al governatore militare Della Torre la notizia, tra i primissimi a riceverla, dell'avvenuta disfatta dell'Armée française[N 16] (che Siracusa a sua volta girò al viceré di Sicilia[37]). Tuttavia, le circostanze gli impedirono di rimanere ed egli dovette navigare, con animo contrariato («I detest this voyage to Naples» scrisse a John Jervis, I conte di St Vincent di ritorno dall'Egitto) fino alla Corte dei Borbone (dove tra l'altro stringerà quel forte legame con Emma). Egli, con la medesima arrabbiatura, mise in chiaro al suo ammiraglio della flotta che:
«Syracuse in future, whist my operations lie on the eastern side of Sicily, is my port, where every refreshment may be had for a fleet.»
«Siracusa in futuro, fin quando le mie operazioni si trovano sul versante orientale della Sicilia, è il mio porto, dove si può avere ogni tipo di ristoro per una flotta.»
Ma le cose presero una piega diversa, tant'è che Siracusa (definita da Nelson con tanto fervore «suo porto») rivedrà il celebre ammiraglio inglese solo dopo due anni. In questi due anni, infatti, tutta la concentrazione dell'uomo venne assorbita dalla figura della sua amante: Emma Hamilton, con la quale risiedette a Palermo (facendo spostare, con forte disappunto degli altri ufficiali inglesi, una parte delle operazioni belliche dal porto aretuseo a quello palermitano, allungando quindi i tempi degli interventi, che si svolgevano a est dell'isola).
Il motivo che aveva spinto Lady Hamilton nella città sede del trono, fino allora rimasto fisicamente vacante, del re di Sicilia, era dovuto al precipitare degli eventi in Napoli: difatti i francesi, ritenendo il trattato di Parigi violato (oltre al decisivo supporto logistico dato a Nelson, Ferdinando ascoltò l'Inghilterra che gli fece invadere lo Stato Pontificio da poco conquistato da Napoleone, per cui la rottura fu totale) non si fecero più scrupoli e invasero la parte continentale del Regno dei Borbone, costringendo il re e la regina a una fuga precipitosa (Ferdinando e Maria Carolina vennero condotti da Nelson a Palermo), e dichiararono decaduta la corona di Napoli: nacque nel 1799 al suo posto la Repubblica Napoletana, che come le altre Repubbliche sorelle era posta sotto il controllo della Francia.
Il possesso di Malta era una questione di grande peso per le potenze nello scacchiere mediterraneo. Napoleone era ben consapevole di ciò. Siracusa, in quanto porto più prossimo all'isola occupata, ricevette speciali incarichi da parte del governo borbonico (a sua volta fortemente influenzato dal governo britannico) sul da farsi.
La Gran Bretagna non aveva alcuna intenzione di lasciare alla Francia la ex base dell'Ordine gerosolimitano. Il governatore militare di Siracusa ebbe fin dall'estate del 1798 chiare istruzioni al riguardo da parte di John Acton: i francesi che occupavano Malta erano da considerarsi nemici, non andavano in alcun modo aiutati, poiché i Borbone rivendicavano per la corona siciliana l'isola occupata; i siracusani potevano e dovevano aiutare i ribelli maltesi a riprendersi l'isola, ma senza compromettere il governo napoletano[38] (l'alleanza ufficiale con l'Inghilterra sarà firmata solo nel dicembre di quell'anno[39]). Il compito della flotta di Nelson era quindi quello di provvedere al recupero di Malta.
Mentre si sviluppavano le operazioni che avrebbero portato alla conquista da parte inglese dell'arcipelago maltese, Nelson venne ripreso da Lord Keith, il quale gli rimproverava la scomodità del porto palermitano per la navigazione su Malta e gli raccomandava di ritornare a Siracusa (in alternativa alla città aretusea Keith gli aveva proposto i porti di Augusta e Messina, ma non Palermo), ordine che Nelson puntualmente ignorò, rimanendo al fianco di Emma, alla corte palermitana[40] (Lord Keith, esasperato, arriverà a dire che «Lady Hamilton ha detenuto il comando della flotta per troppo tempo[41]»).
Nonostante ciò, va comunque tenuto presente che Nelson si tenne costantemente in contatto con suoi uomini, che aveva per la maggior parte lasciato fin dall'inizio a Siracusa; così come un buon numero di navi della flotta.[42][36]
La presa delle navi francesi e l'ammiraglio Jean-Baptiste Perrée
[modifica | modifica wikitesto]Lo stesso Lord Keith aveva da poco lasciato Siracusa - il 3 marzo del 1800 sulla sua Queen Charlotte (da 100 cannoni)[43] - per dirigersi a Livorno (porto franco) con un vasto carico di prigionieri francesi[44]: solamente pochi giorni prima, il 18 febbraio, vi era stato un cruento scontro in acque maltesi tra le navi di Nelson e quelle che la Francia aveva mandato per cercare di soccorrere con viveri e beni di prima necessità i soldati di Napoleone assediati a Malta. L'ammiraglia francese, la Généreux (da 74 cannoni), era una delle due sole navi napoleoniche che era sfuggita a Nelson nella battaglia del Nilo in Egitto; essa era comandata dal controammiraglio Jean-Baptiste Perrée, definito da Napoleone Bonaparte «L'intrepido Perrée».[45]
Il controammiraglio Perrée non venne meno alla sua fama e combatté contro gli inglesi nonostante fosse rimasto cieco durante lo scontro; una cannonata infine gli strappò una gamba facendogli perdere i sensi. La battaglia fu vinta da Nelson e i francesi con le loro navi furono condotte da Keith dentro la baia di Siracusa. Verso sera morì l'ammiraglio di Napoleone. Il 21 febbraio, su volere dello stesso Nelson, venne tributata a Jean-Baptiste Perrée dai siracusani e dagli ufficiali francesi prigionieri una sontuosa cerimonia funebre: il suo corpo fu inumato e seppellito nella chiesa aretusea del convento dei frati domenicani; detta chiesa di Santa Lucia[46][47] (il nome di Jean-Baptiste-Emmanuel Perrée compare inciso nell'Arco di Trionfo di Parigi: pilastro Sud, colonna 24[48]).
Nel 1800 i rapporti tra francesi e siracusani erano divenuti molto inquieti. Risale a questo medesimo anno un episodio di violenza e tensione verificatosi tra gli abitanti di Siracusa, un loro colonnello e l'equipaggio di una nave francese naufragata nel porto aretuseo:[N 17] Alfio Grassi, militare nato ad Acireale, allora colonnello a guardia della città (futuro capitano dell'esercito imperiale napoleonico), impedì con i suoi soldati che una folla di siracusani linciasse i naufraghi francesi (le fonti pervenute tuttavia non specificano perché i siracusani volessero trucidarli).[49] Caduto in sospetto di essere complice dei giacobini venne arrestato e processato (riuscì a fuggire in Francia, dove vestì la divisa napoleonica).[49][50]
Nelson, Napoleone e la resa maltese
[modifica | modifica wikitesto]Nell'aprile del 1800 i francesi a Malta erano ormai stremati, ridotti senza viveri e senza possibilità di riceverli dall'esterno dopo la sconfitta di Jean-Baptiste Perrée. Nelson, quindi, sentendosi sicuro, portò gli Hamilton e un ristretto gruppo di figure della corte borbonica in una crociera siciliana (intesa come viaggio di piacere[51]): partì da Palermo il 24 aprile sul suo nuovo vascello da 80 cannoni, la HMS Foudroyant (la stessa nave che sconfisse i francesi due mesi prima), e approdò nuovamente a Siracusa il 30 aprile.[52] Stavolta però, l'ammiraglio, in compagnia dei suoi ospiti e dell'inseparabile Emma Hamilton, era qui in veste da turista; nonostante a poche miglia nautiche dalla città fosse ancora in atto la battaglia tra inglesi, maltesi e francesi.
Il marito di Emma, Sir William Hamilton, era già da diverso tempo in contatto con i siracusani,[53] poiché amante dell'archeologia e delle scoperte del periodo. Visitare Siracusa era un suo desiderio.[54]
Nelson, dopo essersi diretto verso la città abbondonata (quella dove risiedevano i resti dell'antica polis), si concesse con Emma una gita sui fiumi Anapo e Ciane[N 20] (probabilmente attratto anch'egli dalla recente scoperta dei papiri siracusani); questo momento venne immortalato su di un acquarello dalla londinese Ellis Cornelia Knight (scrittrice, oltre che pittrice, nota per essere la protetta di Lady Hamilton e la futura dama di compagnia, dal 1805, di Carlotta, regina d'Inghilterra), che aveva deciso di seguire Nelson e gli Hamilton dentro Siracusa[56] (quel suo acquarello rappresenta, odiernamente, l'unica raffigurazione esistente di quel tempo sulla relazione tra Nelson e la sua amante[57]).
I due si separarono poco dopo (Lady Hamilton dovette rientrare a Londra, mentre Nelson era ancora obbligato nel Mediterraneo). L'ammiraglio confesserà al suo amico Thomas Troubridge, ufficiale della Royal Navy, che dopo il suo ritorno a Siracusa, separatosi forzatamente da Emma, sentiva di avere il cuore spezzato[58] e ciò lo condizionava in ogni suo stato d'animo; tanto nel dolore quanto nel piacere («broke my heart, which on any extraordinary anxiety now shows itself, be that feeling pain or pleasure[35]»).
Durante quei giorni croceristici, la popolazione di Siracusa acclamò nuovamente Nelson, e il marchese Tommaso Gargallo (futuro Ministro Segretario di Stato di Guerra e Marina) aprì con successo l'iter per conferire all'ammiraglio inglese la cittadinanza onoraria siracusana,[59] dedicandogli nel diploma scritto in latino (Tommaso diverrà noto soprattutto per essere tra i principali traduttori di Quinto Orazio Flacco[60]) l'appellativo di «Horatius Neteonius Niliacu».[61] Il Senato aretuseo gli fece inoltre dono di una medaglia d'oro.[62] Le strade di Siracusa e di Nelson si separarono definitivamente quell'anno.
Gli inglesi nel settembre del 1800 s'impossessarono di Malta, ma la loro presenza sull'isola scatenò le ire di Napoleone, il quale, vedendo che non vi era più possibilità di reclamare Malta per sé, la promise allo zar Paolo I di Russia (già dai tempi della zarina Caterina II la Russia affermava di essere la nazione che più di tutte aveva a cuore le sorti dell'Ordine[N 21][N 22]), ponendo l'Inghilterra in grande difficoltà con quello che fino a quel momento era stato un suo importante alleato:
«Ho perduto Malta, ma essa è il pomo della discordia da me gettato tra i miei nemici.»
La flotta della Russia
[modifica | modifica wikitesto]Dal momento in cui i cavalieri di Malta si arresero ai francesi, si creò una frattura interna nell'Ordine giovannita e feroci critiche verso la lealtà dei suoi membri. Gli abitanti indigeni maltesi e i loro capi militari furono i più risentiti nei loro confronti, apostrofandoli con toni pungenti e augurando, già nel 1801, la permanenza definitiva degli inglesi sull'isola :
«I cavalieri hanno violato il loro solenne voto fatto all'Altare [...] hanno violato ogni legame d'onore come cavalieri e soldati, hanno sacrificato il popolo maltese [...] infine non vi è un solo cavaliere che non è secondo gli Statuti dell'Ordine degradato, tacitamente escluso e disonorato. L'Ordine perciò non esiste più [...] sprezzevoli e mendicanti si rifugiano in Russia e crearono [i cavalieri] per un pezzo di pane uno Scisma nell'Ordine, che era una violazione dei loro obblighi: questa porzione migliore fra gli infami cavalieri non prostituirono il loro onore come la parte maggiore dei loro confratelli che aprirono le porte della Valletta ai francesi.[65]»
Nonostante fossero questi i sentimenti dei maltesi (influenzati probabilmente dagli inglesi), lo zar Paolo I prese a cuore le sorti dell'Ordine e quando gli giunse l'invito di Napoleone egli era già diventato da tempo Gran Maestro dell'Ordine giovannita (ruolo offertogli dal gruppo dei cavalieri erranti).[66] Paolo I era inoltre in stretti legami con il Regno di Napoli e Sicilia; nel 1798, quando la flotta francese si dirigeva verso le coste siciliane, egli fu uno dei primi ad offrire alleanza ai Borbone, con i quali s'impegnò nel novembre di quell'anno ad inviare a protezione dei sudditi siciliani, senza chiedere nulla in cambio, la flotta del Nord (la flotta della Russia) e vari contigenti di soldati russi.[67]
Il precedente
[modifica | modifica wikitesto]Siracusa nei piani di difesa della Russia aveva un ruolo molto importante, poiché era stata designata come base russa principale nel Mediterraneo fin dall'anno 1788: i legami all'epoca si strinsero grazie a un patto commerciale firmato tra la corte napoletana e l'imperatrice Caterina II; lo scopo di quel patto era di allargare gli orizzonti commerciali dei Borbone e di permettere all'economia siciliana e napoletana un più ampio respiro (a tal proposito giova tener presente che i russi avevano assegnato nel 1782 un trattamento di favore al vino di Siracusa; l'unico scelto in tutto il Regno borbonico, insieme al vesuviano Lacryma Christi[68]).[N 23]
Prima che scoppiasse la rivoluzione francese, la Russia era entrata in guerra contro l'Impero Ottomano - la guerra russo-turca (1787-1792) - e fu in quel contesto che l'imperatrice Caterina chiese al re di Sicilia di poter utilizzare Siracusa come unico approdo per le operazioni della flotta del Baltico[69] (le navi che giungevano dal mar Baltico e che formavano insieme a quelle del mar Nero e dell'oceano Pacifico la flotta del Nord). Ciò non le fu accordato, in quanto vigeva un patto di neutralità che Siracusa rispettava e che non consentiva all'interno del suo porto la presenza di più di tre vascelli da guerra per volta[70] (due secondo le fonti francesi[71]; numero che sarà infine platealmente violato da Nelson nel 1798). Si consentiva comunque l'utilizzo del porto aretuseo, ma solamente se la flotta russa si fosse divisa in più porti del Regno. I programmi di Caterina dovettero ad ogni modo mutare, poiché nell'88 Inghilterra e Francia, ancora alleate, bloccarono sul canale della Manica la flotta del Nord, non permettendole l'ingresso nel Mediterraneo.
Alla fine le operazioni del 1788 e del 1789 si limitarono sul territorio alla presenza di una flottiglia, piena di corsari, organizzata per Siracusa (vi erano altri due approdi a Messina e Reggio Calabria) da Antonio Psaro, rappresentante di Caterina a Malta. Le mosse di Psaro tuttavia non piacquero ai francesi (attenti osservatori della politica borbonica); l'incaricato a Malta di Sua Maestà Cristianissima Luigi XVI di Francia, vedendo il porto pieno di navi poste al comando dei russi (se pur si trattava di piccole navi da guerra), indignato, alla corte parigina scrisse:
«Nous avons, dit-il, rempli notre objet? Nous avons fait une grosse diversione et l'escadre de le mer Noir est moins forte. Voilà cependant 10 bâtiments de guerre russes à Syracuse et si la division de Lambro y vient hiverner, ils seront 20. Où sont les lois de la neutralité et les conditions du traité de commerce qui n'en admettait que deux?[71]»
«Abbiamo, dice, raggiunto il nostro scopo? Abbiamo fatto un grande diversivo e la squadriglia del mar Nero è meno forte. Tuttavia a Siracusa ci sono 10 navi da guerra russe e se la divisione Lambro invernerà qui, ce ne saranno 20. Dove sono le leggi della neutralità e le condizioni del trattato commerciale che ne ammette solo due?»
Quel che temevano i francesi era che, non disponendo la marina borbonica di una forte flotta da combattimento, i russi a Siracusa e in Sicilia, rimasti incontrastati, potessero prendere il comando della situazione[71] a discapito della Francia (all'epoca molto presente a Malta per via dei cavalieri gerosolimitani).
Con la pace di Amiens
[modifica | modifica wikitesto]Nel 1800, però, la Francia di Napoleone seppe sfruttare a suo favore l'ambizione russa di insediarsi nel cuore del Mediterraneo: difatti, la Russia, uscì dalla Seconda coalizione antifrancese e se la prese con l'Inghilterra, che com'era prevedibile non consegnò Malta allo zar solo perché i cavalieri lo avevano eletto loro Gran Maestro e Napoleone gli aveva dato la benedizione su di un possedimento non suo di diritto (l'isola, infatti, apparteneva per diritto solo al re di Sicilia). L'imperatore allora dichiarò aperte ostilità contro gli inglesi; li fece arrestare nei porti russi e fece scendere in campo una nuova Lega dei neutri (dopo la prima Lega capeggiata da Caterina nel 1780) composta da Danimarca-Norvegia, Svezia e Prussia. La Gran Bretagna non si tirò indietro e li affrontò. Tuttavia l'assassinio dello zar Paolo I (ucciso con la complicità del figlio, il nuovo zar Alessandro I) e una serie di sconfitte dei nemici di Napoleone Bonaparte, portarono le potenze europee a cercare la pace; venne quindi firmato nel 1802 il trattato di Amiens, che bloccò momentaneamente tutte le guerre in atto.[N 24]
Amiens segnò un punto di svolta nelle alleanze, poiché Alessandro I mise da parte le pretese del padre sull'isola di Malta e tornò alleato degli inglesi.[N 25] La scintilla che fece dissolvere la breve pace tra le potenze fu proprio Malta: gli inglesi non volevano lasciarla, mentre Napoleone ordinava loro di restituirla all'Ordine giovannita.[72][73]
Tra il dicembre del 1801 e il marzo del 1802, tuttavia, Siracusa rappresentò l'illusione per la Francia di Napoleone che la pace di Amiens potesse davvero significare un'inversione di rotta nei difficili rapporti che i francesi avevano con la corona delle Due Sicilie: accadde difatti che un vascello da guerra francese dopo quarantacinque giorni di viaggio, di ritorno dall'Egitto, si ritrovò in estrema difficoltà e, naufragato nel porto aretuseo, senza viveri, il suo equipaggio trovò qui la salvezza: il governatore della piazza d'armi (dal 1801 il marchese Marcello de Gregorio[74]) si mostrò ben disposto ad accogliere quei soldati e li sfamò, curandoli e dando loro tutto quel che gli serviva.
Trattandosi di oltre 200 uomini di Napoleone, la notizia fece scalpore in Francia:[75] il generale di brigata Silly scrisse da Siracusa al Primo console francese, Napoleone Bonaparte (chiamandolo «Mon Général»), lodando il governatore militare aretuseo e testimoniando il buon trattamento che i siracusani diedero loro («les attensions les plus soutenues e le plus delicates[N 26]»).
Napoleone rispose a questa cortesia rammentando come egli nutrisse il «suo costante desiderio di conservare la buona armonia felicemente stabilita fra le due potenze».[76]
La guerra però riprese e ben presto l'armonia fra le due potenze (i Borbone e la Francia) si spezzò. Deciso anzitutto a stroncare l'ingombrante potenza inglese, Napoleone, definito in quel periodo l'«erede di Robespierre e del Terrore»,[77] progettò l'invasione terrestre della vasta isola britannica, senza tuttavia poterla porre in atto (poco tempo dopo progetterà anche uno sbarco in Sicilia[78]). Nel frattempo, nominatosi Imperatore dei francesi e incoronato come tale nel 1804, costrinse i Borbone a un patto che imponeva loro la più severa neutralità[79]; in cambio permetteva al re a alla regina di ritornare sul trono di Napoli. I Borbone, però, corteggiati da russi e inglesi, avevano già firmato con questi, segretamente, un trattato di alleanza che apriva i porti desiderati da Inghilterra e Russia,[80] con lo scopo di accogliere le truppe nemiche della Francia.
Si formava così la Terza coalizione e si dava l'avvio alle guerre napoleoniche. La flotta della Russia poté stavolta giungere a Siracusa, nel settembre 1805, in qualità di alleata inglese. Arrivarono in città dal mar Nero, senza mai fare una sosta, i primi contingenti russi, posti al comando del generale Heinrich Reinhold von Anrep (in russo Roman Karlovich).[81] Il Senato aretuseo prima di farli sbarcare voleva porli in quarantena, ma il governatore militare Gregorio si oppose alla pratica abituale (ed essendo Siracusa una piazza d'armi la parola del governatore era quella che più contava). Il governo siracusano fu inoltre invitato a soprassedere su tale procedura dal diplomatico Dimitrij Pavlovič Tatiščev (importante figura dello zar, rappresenterà l'Impero russo a tutti i più significativi trattati del periodo); si trovava a Siracusa come principale interlocutore di Alessandro I alla corte borbonica[82] (egli era inoltre lo zio del generale Pavel Aleksandrovič Urusov). I soldati russi ebbero quindi fin da subito «libre pratique[83]» all'interno delle mura.
Ben presto dovevano giungere anche i soldati inglesi stanziati a Malta: Siracusa era infatti stata designata, nel patto anglo-russo, come punto di raccolta principale per le forze alleate[84] («point of concentration[85]»). Gli inglesi erano comandati da James Henry Craig (reduce dalla guerra d'indipendenza americana), mentre entrambe le flotte rispondevano al comando del russo Maurice Lacy (Moritz Petrovič Lacy).[86] Dieci giorni di tempesta bloccarono Craig e le 70 navi inglesi a Malta, tuttavia, appena il mare glielo consentì, Craig prese a trasportare dalla momentanea base russa di Corfù a Siracusa le truppe dello zar.[87] L'operazione richiese parecchio tempo, ma alla fine 13.000 russi e 7.000 inglesi[88] (rispettivamente 12.000 e 8.000 secondo altre fonti[87]), riunitisi nella città aretusea, poterono imbarcarsi, l'8 novembre, verso le coste italiane per affrontare i soldati francesi. L'obiettivo era evitare una seconda invasione del Regno di Napoli da parte di Napoleone.
I francesi in Italia, da tempo a conoscenza della spedizione, giorno 15 novembre affermarono di non essere pronti ad affrontare le forze alleate: «nous craignons qu'ils ne viennent. Nous n'avons en effet aucune force à leur opposer» («abbiamo paura che vengano. Non abbiamo il potere di opporci a loro»);[89] lo sbarco sarebbe avvenuto quattro giorni dopo questo messaggio. Napoleone nel mese di ottobre aveva tentato di distruggere questi preparativi mandando contro le operazioni inglesi la flotta imperiale che si trovava in Spagna, ma questa venne intercettata il 21 ottobre dalla flotta della Royal Navy, guidata da Horatio Nelson; avvenne lo scontro - battaglia di Trafalgar - che vide il trionfo degli inglesi e la sconfitta delle navi di Napoleone (un tiratore scelto francese riuscì però ad uccidere Nelson durante la battaglia).
Conseguenze
[modifica | modifica wikitesto]Nonostante Trafalgar, Napoleone si riprese vincendo il 2 dicembre del 1805 l'importante battaglia di Austerlitz (che segnò una pesante ritirata per i russi e la distruzione del Sacro Romano Impero per l'Austria con la pace di Presburgo). Il Regno di Napoli, infine, venne ugualmente invaso dai francesi, poiché russi e inglesi non riuscirono ad andare d'accordo e preferirono ritirarsi in Sicilia piuttosto che battersi fino in fondo per la corona napoletana dei Borbone (furono i primi segnali che avrebbero portato a una nuova rottura dell'alleanza anglo-russa). Mentre gli ultimi eserciti anglo-russi lasciavano il suolo napoletano nel gennaio del 1806,[90] il 27 dicembre 1805 Napoleone Bonaparte, dal palazzo di Schönbrunn, aveva già condannato la monarchia borbonica, dichiarandola non più esistente («la dynastie de Naples a cessé de régner; son existence est incompatible avec le repos de l'Europe et l'honneur de ma couronne»[N 27]): fece nascere un nuovo Regno di Napoli, posto sotto la guida di suo fratello Giuseppe Bonaparte. La Sicilia (per i francesi teoricamente compresa in quel Regno, ma nella realtà dei fatti da esso separata) rimase sotto la protezione degli inglesi: Siracusa verrà da essi occupata pochi mesi dopo questi eventi.
La flotta degli Stati Uniti d'America
[modifica | modifica wikitesto]All'inizio del 1800 la neonata nazione degli Stati Uniti d'America, formatasi con la dichiarazione d'indipendenza dalla Gran Bretagna e con la conseguente guerra con gli inglesi della madrepatria (conclusasi con il trattato di Parigi del 1783), spedì la giovane marina statunitense (nata nel 1775) a Siracusa, allacciando con questa città - prima tra le siciliane - rapporti politici e commerciali: inviò ai siracusani nel luglio del 1802 un console (il messinese Salvatore Conte).[91] Ma i rapporti si strinsero maggiormente nel 1803, quando gli americani si stabilirono nel porto aretuseo per affrontare gli Stati africani (Tunisi, Tripoli, Algeri) che ricattavano i suoi mercanti: gli Stati Uniti pagavano cifre vertiginose per tenere calmi i corsari del Nord Africa, poiché dopo aver dichiarato guerra all'Impero britannico, gli inglesi avevano tolto alle loro ex-colonie la protezione commerciale della quale avevano goduto fino a quel momento.
Siracusa quindi li accolse. La loro presenza non creò incidenti diplomatici con l'Inghilterra (dopo un'iniziale tensione nel 1802, dovuta a un approccio anti-britannico tenuto dai primi americani in Sicilia[N 28]), bensì irritò la Francia: infatti Napoleone Bonaparte era in quel periodo in tensione con gli Stati Uniti (egli nel 1802 tentò una nuova espansione oltreoceano; reintrodusse la schiavitù nelle colonie americane dei francesi e gli Stati Uniti lo minacciarono di essere pronti ad allearsi con l'Inghilterra contro di lui, se la Francia non avesse rinunciato alla sua politica colonizzatrice in America).[93] Per cui, la base portuale americana di Siracusa fu fin da subito presa di mira dai francesi, i quali vi spedirono dei loro agenti per sabotarne le navi ancorate.[94]
Dal 1803 al 1807 Siracusa fu assiduo ricovero dei soldati della marina americana (la quale convivette con la marina russa, anch'essa presente nel porto aretuseo nel medesimo periodo[95]).
Il consolato americano venne allestito nel palazzo nobiliare degli Abela (un palazzo quattrocentesco che aveva resistito ai cataclismi del 1542 e del 1693).[96] Venne aperto anche un ospedale per i feriti di guerra, rivolto agli americani[97] e nonostante vi fosse la paura che essi potessero diffondere in città la febbre gialla (epidemia che si diceva fosse endemica della Filadelfia e che aveva già decimato i soldati francesi nella loro spedizione americana)[97] non si verificò nessuna emergenza sanitaria. Come aveva già fatto con Nelson e la flotta inglese, anche agli americani Siracusa diede abbondante acqua da bere, e con essa poterono andare e venire da Tripoli, dove si concentrava la prima guerra barbaresca.
Gli americani dovevano salvare numerosi membri della loro marina, caduti prigionieri dei tripolini. Il commodoro Edward Preble (l'autore, insieme a Stephen Decatur, dell'assalto al porto di Tripoli e del calcolato incendio della USS Philadelphia) fu il primo comandante in capo della spedizione nel 1803; l'anno seguente venne sostituito dal commodoro Samuel Barron, che ammalatosi trascorse gran parte del suo comando in un ospedale di Siracusa (dal quale dettava le direttive ai suoi uomini).[97] Hamet Karamanli (in numerose fonti italiane noto come Caramelli), fratello maggiore del Bey (o Bassà) di Tripoli Yusuf Karamanli ed erede al trono esiliato a Tunisi,[97] venne catturato durante la marcia nel deserto del Sahara per la presa di Derna e fu condotto a Siracusa sotto scorta americana; qui risiedette come ospite della città (s'incontrerà presso Scala Greca anche con il re Ferdinando IV di Borbone, al quale donerà una preziosa spada d'oro, mentre il sovrano si trovava in visita presso i siracusani nel 1806[98]).
Gli americani restarono in buoni rapporti con i siracusani anche dopo la firma del trattato di pace fra Tripoli e Stati Uniti avvenuta nel 1807 (nonostante la guerra anglo-americana, scoppiata qualche anno dopo, a seguito delle tensioni commerciali del 1807, quando era ancora in atto l'occupazione inglese della Sicilia). A memoria dell'impresa tripolina restano odiernamente sul territorio le tombe di alcuni soldati statunitensi caduti negli scontri: le loro salme si trovano nel piccolo cimitero acattolico di Siracusa (costruito sull'allora proprietà del Landolina, che diede il suo consenso), accanto a quelle di altri caduti inglesi delle guerre napoleoniche e a quella del poeta tedesco August von Platen.[99]
Siracusa e l'America
[modifica | modifica wikitesto]Tra le prime testimonianze di rapporti non solo politici ma anche commerciali e culturali tra le due realtà geografiche va annoverato l'interesse che mostrò Thomas Jefferson (il 3º presidente degli Stati Uniti d'America) per il vino siracusano: egli nel 1775 ne acquistò delle botti e lo annotò con peculiarità nei suoi scritti, comparandolo per sapore al vino portoghese di Madera (che fu uno dei vini da lui maggiormente apprezzati[100]). Dei vini aretusei gli americani dell'epoca apprezzavano soprattutto il moscato rosso.[100]
Un altro collegamento culturale importante venne dato dal nome con il quale fu battezzata, nel 1820, la città che sorgeva a nord nello Stato di New York: gli americani la chiamarono Syracuse (che è toponimo di Siracusa in lingua inglese), e nonostante fosse consuetudine del tempo denominare le nuove città ex-coloniali come quelle più antiche dell'Europa (ad esempio, vicino a Syracuse si trovava Troy), la denominazione in questo caso assunse un valore aggiunto poiché intendeva richiamarsi direttamente alle origini di Siracusa: Syracuse venne edificata sulle sponde di un grande lago salato (l'Onondaga Lake, che è tra l'altro il luogo nel quale nacque la Lega irochese dei nativi americani che affiancò le truppe della Gran Bretagna nella guerra d'indipendenza); fin dal 1600 divenne nota per la sua produzione di sale, e proprio questa caratteristica convinse John Wilkinson (la cui famiglia emigrò in America nei tempi dell'oppressione in Inghilterra di Oliver Cromwell) a darle il nome di Siracusa, perché lesse sulla città siciliana uno scritto nel quale si narrava l'abbondanza di acqua sia dolce che salata (secondo alcune teorie il nome stesso di Siracusa significherebbe «acqua salata» da «Sur-aku»,[101] e deriverebbe da una delle paludi del luogo che sarebbe stata così chiamata dai Siculi) e quindi l'accomunò alla sua terra americana.
Anche a Siracusa, tra l'altro, fino alla metà del XX secolo si produceva e si commerciava sale grazie alle numerose saline del territorio, infine tutte chiuse).[102] Sempre al sale venne associata un'altra Syracuse, battezzata dopo la newyorkese: la Syracuse dello Utah (che deve il suo nome al Grande Lago Salato che le sorge vicino).[103] Sorsero poi negli Stati Uniti altre piccole località denominate come la città siciliana (nell'Indiana, nel Kansas, nell'Ohio, nel Missouri e nel Nebraska).
L'occupazione inglese
[modifica | modifica wikitesto]Nel gennaio del 1806 i Borbone, che dovettero fuggire nuovamente da Napoli (divenuta dominio della Francia), si rifugiarono in Sicilia, sbarcando sotto il comando inglese e scorta austriaca a Palermo. La presenza britannica, armata e con scopi bellici (la guerra a Napoleone Bonaparte), entrerà nella storiografia siciliana con il termine di «decennio inglese».[104] Siracusa, data la sua delicata posizione naturale (esposta gli sbarchi delle grosse flotte) e il suo ruolo di piazza d'armi (deteneva tale status fin dal 1679, come conseguenza di un decreto spagnolo scaturito proprio da una guerra contro la Francia), fu fatta passare fin dal principio sotto il controllo diretto dell'Inghilterra.
La Sicilia in quel decennio divenne patria di salvezza per molti popoli: sia sufficiente ricordare che oltre la corte napoletana dei Borbone, la capitale siciliana rappresentò un rifugio anche per li futuro re dei francesi Luigi Filippo (esiliato dalla Francia in quanto parente del ghigliottinato Luigi XVI).
L'Inghilterra continuava a resistere, e a lei si affiancarono l'Impero portoghese, il Regno di Sardegna e il Regno di Sicilia; quest'ultimo, in particolare, rappresentò per gli inglesi il perno difensivo principale: ricorderà Napoleone, nel suo memoriale, come gli inglesi fossero soliti arruolare, spesso forzatamente, soprattutto siciliani (oltre ai loro alleati portoghesi).[105]
Prendere la Sicilia
[modifica | modifica wikitesto]Era nelle intenzioni di Napoleone assoggettare anche la Sicilia al suo dominio.[106] Archiviato il piano di invadere la Gran Bretagna con uno sbarco anfibio, egli tentò, o meglio progettò, una prima invasione siciliana, messa a punto tra il 1806 e il 1808 (si parlerà in seguito di un ulteriore progetto per invadere l'isola, nel quale però l'Imperatore dei francesi avrà un ruolo ambiguo[106][107]). Ciononostante, Napoleone Bonaparte sembrava avere carenza di informazioni sullo stato dell'isola mediterranea, prova ne è la raffica di domande che porse a suo fratello Giuseppe su tutto ciò che riguardava la fisicità della Sicilia, le cui risposte dovevano illuminare i francesi, mostrando loro come muoversi in essa.[106]
«Mon frère [...] mes escadres sont en mouvement, et qu'on peut d'un moment à l'autre passer en Sicile [...] le 25 ou le 30 l'amiral Ganteaume pût paraitre devant Reggio, débarquer mes troupes entre Catane et Messine, s'emparer Messine et meme de Catane, bloquer les forts, et enlever le Phare. Cette opération pourrait etre faite d'autant mieux, que l'amiral Ganteaume menacerait par là Syracuse, ce qui intriguerait beaucoup les Anglais.»
«Fratello mio [...] le mie squadre sono in movimento, e possiamo passare in Sicilia da un momento all'altro [...] il 25 o il 30 l'ammiraglio Ganteaume potrebbe comparire davanti a Reggio, sbarcare le mie truppe tra Catania e Messina, prendere Messina e magari Catania, bloccare i forti, e occupare il Faro. Questa operazione potrebbe riuscire meglio, poiché l'ammiraglio Ganteaume minaccerebbe Siracusa, il che intrigherebbe molto gli inglesi.»
Uno dei suoi piani (Napoleone nei suoi dispacci proponeva sempre molteplici soluzioni), consisteva nel far sbarcare le truppe francesi, comandate dall'ammiraglio Honoré-Joseph-Antoine Ganteaume, tra Messina e Catania e, dopo aver preso queste due città, far marciare i francesi a Siracusa, "minacciandola" di conquista, in modo da far agitare gli inglesi, poiché Napoleone sapeva che dentro la città aretusea vi era li cuore della difesa inglese (era convinto, ad esempio, che l'ultima resistenza degli inglesi sull'isola si sarebbe concentrata su Siracusa[109]).
Decise infine di rinviare lo sbarco a quando fosse stata assicurata la presa di Scilla (confine calabro in mano inglese).[106] L'impresa siciliana rimarrà comunque centrale nei suoi pensieri. Si può comprendere quanto egli ritenesse importante la conquista della Sicilia, citando ciò che scrisse nel maggio del 1806 (tempo in cui egli riteneva l'Europa pacificata sotto il suo dominio[110]) a suo fratello Giuseppe: «la Sicile est tout, et Gaète n'est rien»[110] («la Sicilia è tutto, e Gaeta è niente»), volendolo esortare con le forti parole a non concentrare le sue truppe sul baluardo napoletano (che era minacciato dagli inglesi; per lui fattore questo positivo, poiché distraeva l'Inghilterra dalla Sicilia, dando al suo esercito la possibilità di tentare lo sbarco), ma piuttosto di dirigere lo sguardo sui siciliani, la cui isola, protetta dai suoi acerrimi nemici, gli inglesi, diveniva fondamentale per stabilizzare le sue conquiste sul continente.[110]
La visita del re Ferdinando IV di Borbone
[modifica | modifica wikitesto]Sua Maestà Siciliana, Ferdinando di Borbone, mentre era esule tra i suoi sudditi, decise di compiere nel 1806, per la prima volta, un viaggio che l'avrebbe condotto fino a Siracusa (si consideri che i siracusani non ricevevano la visita di un loro monarca da oltre tre secoli[N 29]). Vi giunse giorno 26 aprile e vi rimase fino al 29 dello stesso mese.[111]
In questi tre giorni trovò ospitalità presso il palazzo Beneventano del Bosco, riprogettato dal siracusano Luciano Alì[112] (protagonista della ricostruzione post-terremoto attuata tra il 1755 e il 1799) e appartenente all'omonima nobile famiglia aretusea (i baroni Beneventano), che nella propria casa, solo qualche anno prima, aveva accolto anche l'ammiraglio Horatio Nelson[113] (e in quel medesimo edificio, nel 1529, all'epoca proprietà degli Arezzo, vi aveva alloggiato il primo Gran Maestro del futuro Ordine di Malta, il francese Philippe de Villiers de L'Isle-Adam[114]). I Beneventano (chiamati «del Bosco» per via di un vasto feudo che possedevano tra Siracusa, Floridia e Lentini[N 30]) ricoprivano cariche molto influenti in città[115] (tra i membri della loro famiglia va annoverato Ferdinando Beneventano del Bosco: militare siracusano nato a Palermo, il quale diverrà uno dei volti più conosciuti della resistenza borbonica ai moti rivoluzionari di metà secolo[116]).
Da quel palazzo il re Ferdinando assistette alla festa popolare che i siracusani diedero in suo onore (ancora oggi una grande targa commemorativa posta all'esterno dell'edificio lo ricorda). In piazza del Duomo gli venne mostrata una statua che lo raffigurava, e fu fatto partecipare a due serate danzanti: una all'interno della casa dei Beneventano e una all'interno del palazzo Borgia del Casale (appartenente ad altra famiglia nobiliare della città); in quest'ultima si trattenne fino alle tre del mattino del 28 aprile[117]: giorno, tra l'altro, in cui il re venne accompagnato dal sacerdote ed erudito Giuseppe Maria Capodieci (noto per i suoi annali sulla città aretusea) alla zona archeologica situata al di fuori delle mura di Ortigia, e fu in questa occasione che il Capodieci, in presenza del sovrano, rinvenne nel teatro greco l'iscrizione su Zeus Olimipico[118] (divinità particolarmente venerata dagli antichi Siracusani, per via del loro forte legame con Olimpia).
Ferdinando ripartì molto soddisfatto del suo soggiorno aretuseo e assicurò: «non avrebbe mai dimenticato Siracusa, che, di una tale benevolenza, avrebbe sperimentato gli effetti».[119]
L'arrivo delle truppe di terra
[modifica | modifica wikitesto]L'Inghilterra, cosciente delle ambizioni napoleoniche, aveva investito molto sulla difesa della Sicilia e l'aveva quindi occupata militarmente, per necessità, fin dall'aprile del 1806 (in particolare, nella città aretusea si diede notizia dell'arrivo delle truppe il 3 aprile, ma esse si acquartierarono dal mese di dicembre 1806[120]).
Siracusa fu, insieme a Palermo (sede della corte borbonica) e Messina (porta verso il continente), uno dei tre punti nevralgici della presenza inglese sull'isola. Degli 8.000 soldati inglesi spediti in Sicilia, una buona parte raggiunse inizialmente i siracusani, in quanto la loro città era ritenuta dal governo britannico minacciata dai francesi di Napoleone Bonaparte.[121]
Al comando delle truppe di terra fu mandato il brigadiere generale John Stuart, conte di Maida (titolo assegnatogli dalla corte borbonica a seguito della vittoriosa battaglia di Maida), nelle fonti siciliane meglio noto come Stewart.[122] Tra i soldati inglesi che presero alloggio a Siracusa sotto la guida di Stewart va segnalato il tenente irlandese Joseph Betagh (nato a Dublino nel 1790), il quale, giunto con suo fratello Nicholas Betagh,[123] rimarrà infine (dopo la conclusione della guerra) a vivere in questa città (egli nel 1813 aveva sposato la siracusana Maria Bramante, nella chiesa d'epoca gotica di San Giovanni Battista alla Giudecca,[123] mettendo su famiglia con lei, i cui membri diventeranno personaggi noti del panorama siracusano contemporaneo, la cui fama valicherà i confini dell'isola[N 31]).
Gli inglesi trovarono le fortificazioni siracusane in pessimo stato (nessuno fino a quel momento si era dedicato a mantenerle efficienti, non essendoci più stati pericoli d'invasione dal 1735). Siracusa e Augusta vennero da essi definite pericolosamente esposte e «arrendevoli a subiti colpi di mano».[125][126]
La Gran Bretagna, quindi, a sue spese, armò la Sicilia più esposta: i forti di Siracusa vennero nuovamente restaurati e riempiti di armi e munizioni (eppure fu Siracusa a fornire, più di tutti nel Regno, ai maltesi la propria artiglieria per resistere ai francesi nel 1799, e dopo la fine dell'assedio essa venne prelevata dagli ufficiiali borbonici, ma non è dato sapere se venne restituita ai siracusani o se gli inglesi la trovarono insufficiente a fronte del prossimo assalto[127]). I soldati di Sua Maestà Britannica, Giorgio III del Regno Unito, si dedicarono a fortificare il castello Maniace; i lavori vennero guidati dal generale Stewart, il quale però, a complimento dell'opera, pretese che fossero allontanate tutte le regie truppe dal forte (gli inglesi volevano difenderlo da soli).[128] Inoltre essi fabbricarono sulla penisola di Manghisi (appartenente al borgo di Priolo Gargallo, all'epoca ancora parte del comune aretuseo) una delle loro Martello tower, per difendere Siracusa e Augusta dal mare (di queste caratteristiche architetture belliche britanniche ve ne sono poche nel mondo e pochissime in Sicilia).[129]
L'organo giornalistico ufficiale del governo di Napoleone Bonaparte, Le Moniteur universel, che esprimeva fedelmente gli umori del suo imperatore, sull'occupazione inglese di Siracusa il 29 agosto 1808 così commentò (rispondendo alle accuse di disordine nei Regni occupati che Londra gli aveva rivolto l'8 agosto):
«Jamais le royaume de Naples n'a été plus tranquille. Depuis cent ans, il n'y a jamais eu moins d'assassinats et de brigandages [...] La présence de l'armée anglaise en Sicile ne s'y fait poiny sentir; elle est retranchée dans Syracuse et Messine; l'expérience prouvera si elle saura défendre la Sicile.[130]»
«Mai il regno di Napoli è stato così calmo. Da cento anni non ci sono mai stati meno omicidi e rapine [...] La presenza dell'esercito inglese in Sicilia non si sente; esso si è trincerato dentro Siracusa e Messina; l'esperienza dimostrerà se sarà in grado di difendere la Sicilia.»
In realtà, nonostante le affermazioni pubbliche del governo napoleonico, gli abitanti del Regno di Napoli, e soprattutto quelli della sua parte più meridionale e vicina alla Sicilia, cioè la Calabria, ebbero esperienze devastanti a causa dell'occupazione francese: i calabresi, incitati anche dagli inglesi, si rivoltarono a Giuseppe e a Napoleone Bonaparte, dando vita a una cruenta insurrezione che i francesi tentarono di soffocare nel sangue, non risparmiando alla popolazione massacri e stupri.[131] E se è pur vero che gli inglesi in Sicilia furono alquanto egoisti e causarono non pochi dolori ai siciliani,[132] ebbero comunque il merito, come scrisse Louis Simond (artista e viaggiatore francese, contemporaneo di Napoleone, che visitò la Sicilia e risiedette anche a Siracusa[N 32]), di essere accorsi subito in difesa di quest'isola e di aver così evitato che i siciliani patissero quelle medesime violenze e atrocità:
«It is true they saved the island from French dominion; from the violence and plunder which attended it at Naples and in Calabria; they kept strict discipline; they paid honestly and liberally for they had; but they did not mix cordially with the people; they continued meddling, teaching, ruling [...]»
«E' vero che hanno salvato l'isola dalla dominazione francese; dalla violenza e dal saccheggio che si verificarono a Napoli e in Calabria; hanno mantenuto una rigida disciplina; hanno pagato onestamente e generosamente per quello che hanno avuto; ma non si mescolavano cordialmente con la gente; hanno continuato a intromettersi, insegnare, governare [...]»
Per mantenere quella rigida disciplina della quale parlò Louis Simond posteriormente, il comando inglese aveva però dovuto prendere diversi provvedimenti: per esempio i siciliani riuscirono a far imporre il divieto di vendere alcolici ai soldati nelle ore serali e notturne, poiché questi, non abituati al vino siciliano - che era per loro abbastanza forte - finivano puntualmente per ubriacarsi e creare gravi disordini nei centri abitati (si dirà che i siciliani erano «scioccati dalla costante ubriachezza degli inglesi»[133]), e chi disobbediva al divieto rischiava un mese di carcere.[134] Ad ogni modo, l'arrivo dell'esercito inglese rappresentò per una città povera come Siracusa una fonte notevolissima di guadagno: dall'inizio delle guerre napoleoniche furono numerosi i siracusani che trovarono una cospicua fortuna grazie all'oro e all'argento che i soldati spendevano all'interno delle mura: gli abitanti di Siracusa, non avendo commercio nel porto (quello era stato da tempo totalmente dirottato al porto franco di Messina, nel quale si recavano anche le navi mercantili inglesi[135]), doveva fare piuttosto affidamento sulle proprie risorse interne - cibo e vino soprattutto[136] - e approfittare della presenza militare: sia delle truppe di terra che delle ciurme marinare.[136]
L'arrivo dell'ammiraglio Collingwood
[modifica | modifica wikitesto]L'ammiraglio della Royal Navy Cuthbert Collingwood - che era stato legato a Nelson da una profonda amicizia; che era con lui a Trafalgar e che prese il suo posto nel comando della flotta quando questi venne ucciso durante la battaglia[137] - scrisse da Cadice a Hugh Elliot,[138] ministro inglese alla corte di Ferdinando, che per la sopravvivenza di quel che rimaneva della corona dei Borbone era assolutamente necessario che l'Inghilterra fosse libera di disporre a proprio arbitrio di una parte della Sicilia, senza restrizione alcuna da parte della corte napoletana impiantata a Palermo; la scelta di Collingwood ricadde su Siracusa,[139] la quale accolse da giorno 6 del mese di dicembre 1807 il comandante della Mediterranean Fleet (la flotta britannica del Mediterraneo) con le sue navi da guerra.[140]
Collingwood ebbe parole gentili per i siracusani, descrivendoli come un popolo caloroso e generoso, ma rilevò anche la grande povertà e l'assenza di commercio del luogo.[140] I siracusani, capendo che egli aveva molta influenza nella loro politica (l'ingerenza dell'Inghilterra era in quegli anni molto forte negli affari siciliani) gli si affidarono anche per questioni che non riguardavano l'aspetto militare.
Il Senato aretuseo chiese a Collingwood di farsi suo portavoce al cospetto del re di Sicilia, Ferdinando, e pregarlo di non permettere che la diocesi siracusana venisse smembrata: Siracusa era da tempi antichissimi la sede ecclesiastica principale della Sicilia sud-orientale (un tempo lo era dell'intera Sicilia[142]), ma negli ultimi secoli, perdendo sempre più abitanti, aveva perso anche l'influenza religiosa (Noto e Caltagirone, ad esempio, erano divenute due città più popolose di Siracusa, la quale, viceversa, era reduce da una forte crisi demografica originatasi in epoca spagnola, ed entrambe desideravano adesso la propria indipendenza diocesana da Siracusa[N 34]). Tuttavia, i siracusani si ostinavano a non voler alcun cambiamento nello stato della loro diocesi, per cui si rivolsero all'influente figura di Collingwood. L'ammiraglio, con molto garbo, rispose loro:
«I am a stranger, Gentlemen, who in the service of my king am come to your coasts to aid in the defence of the states of his friend and ally: I have found at Syracuse a people generous, hospitable, and warm with attachment to their Severeign, and am already inspired with a sincere interest in whatever relates to them, and nothing shall be wanting in which I can contribute to their happiness.»
«Io sono uno straniero, Signori, venuto sulle vostre coste al servizio del mio re per aiutare a difendere gli stati del suo amico e alleato: ho trovato a Siracusa un popolo generoso, ospitale e caloroso, con affezione al loro sovrano, e sono già ispirato da un sincero interesse per tutto ciò che li riguarda, e nulla sarà tralasciato di quel che posso fare per contribuire alla loro felicità.»
Collingwood, però, nonostante mostrasse sincero interesse per le vicissitudini della città che ospitava il comando della sua flotta, era lì realmente per altri motivi, e quando scrisse a Sir William Drummond di Logie Almond (ministro inglese alla corte dei Borbone, successore di Elliot), quello stesso giorno, lo fece usando toni molto diversi e palesando quella necessità che aveva l'Inghilterra di poter contare sui siracusani per contrastare i francesi; per vincere la guerra in corso:
«Syracuse is so particularly situated, and so much may depend on the exertion of its people, that I should conceive that a policy the reverse of diminisging its power, a policy to aggrandise it, to increase its population, and to attach them strongly, and by every means, to the true interests of their Country, would, in the course of events, be found hightly beneficial. They have an admirable port, but no trade; a beautiful country, but the badness of the roads makes it a desert.»
«Siracusa si trova in una posizione così particolare, e così tanto può dipendere dagli sforzi della sua gente, che dovrei dedurre come una politica di diminuzione di quel suo potere, una politica di aggressione ad esso, di aumento della sua popolazione, e di coinvolgerla strenuamente, e con ogni mezzo, ai veri interessi del proprio paese, sarebbe, nel corso degli eventi, altamente vantaggiosa. Hanno un porto ammirevole, ma nessun commercio; un bellissimo posto, ma la pessima condizione delle strade lo rende un deserto.»
Collingwood riteneva, a ragion veduta, che i siracusani non fossero emotivamente coinvolti nella guerra contro la Francia di Napoleone; che fossero isolati e privi di una visione d'insieme per le sorti non solo del loro Regno ma di quelle dell'intera Europa: non solamente Collingwood lo notava; ad esempio, al rappresentante del governo siracusano, che era il fabbricatore di carta di papiro Saverio Landolina, a Palermo fu chiesto di esprimersi, una buona volta, sulla situazione in atto, sul probabile cammino della Grande Armée bonapartista, poiché egli ne appariva del tutto indifferente, nonostante le alte cariche politiche che in quel momento ricopriva a nome della città aretusea: «dal nostro re è stato assolutamente negato lo sbarco de' Moscoviti, come potenza neutrale, seppure la forza non lo faccia eseguire, da sé. Intanto che ne sarà di voi, e di noi?»[143] chiedeva allarmato un nobile siciliano a Saverio. Lo stesso Collingwood si mostrò «sconcertato»[144] dall'osservare come i siracusani ignorassero il sangue versato a poca distanza da loro, durante l'attacco francese a Reggio Calabria e a Scilla (6 febbraio 1808)[144]
Il medesimo concetto su Siracusa, sulla sua disaffezione, l'avevano in generale anche gli altri siciliani, tanto da sorprendersi di fronte a una reazione della stessa («Siracusa [...] dominata dalla guarnigione come piazza d'arme, spesso in passato indifferente a qualunque novità»[145]).
Effetti della pace di Tilsit
[modifica | modifica wikitesto]Cuthbert Collingwood passò molti mesi di fronte alle coste siracusane, stando sempre in tensione, poiché la flotta francese poteva attaccare da un momento all'altro. Individuarla era estremamente complicato con i mezzi precari a sua disposizione - «God help me!» (Dio mi aiuti)[146] esclamò un giorno, esasperato, mentre da Cefalonia scriveva a John Erasmus Blackett (sindaco di Newcastle, nonché suo suocero), descrivendogli gli effetti di un possibile imminente attacco delle navi francesi a Siracusa, e sulla difficile difesa da porre in atto per impedire la conquista di questo strategico sito.[146]
Collingwood descrisse a John Erasmus, inoltre, anche la sua esplorazione nella città aretusea: egli la visitò tutta, rimanendo particolarmente colpito dall'Orecchio di Dionisio (nome datogli da Caravaggio nel '600);[146] al suocero ribadì che i siracusani erano stati tutti molto gentili sia con lui che con gli uomini delle sue navi.[146] Partecipò con la nobiltà locale ad un ballo e ad una cena che descrisse come «tra le più magnifiche cose mai viste».[146] Nella città aretusea si fece fare un suo ritratto da spedire alla moglie, Sarah Blackett, che non vedeva da cinque anni,[N 35] alla quale descrisse in una lettera tutta la sua ansia per questo lungo conflitto.[N 36] Mentre egli faceva avanti e indietro dal mare siracusano, custodendolo attentamente, si verificarono delle serie tensioni con i russi: Collingwood difatti aveva ricevuto a Siracusa, fin dai primi di gennaio 1808, l'ordine dall'ammiragliato inglese di distruggere tutte le navi russe che si trovavano sulle coste siciliane.[146][149]
Ciò era l'effetto della guerra che la Russia aveva dichiarato alla Gran Bretagna per volere di Napoleone Bonaparte, il quale, nell'anno precedente (estate 1807), aveva obbligato lo zar Alessandro I alla pace di Tilsit (i rapporti tra russi e inglesi erano però già tesi fin dal 1806). Tuttavia, nonostante le pressioni da parte di Robert Adair (plenipotenziario britannico alla corte degli Asburgo-Lorena a Vienna) e il comando dei Lordships, Collingwood faticò ad eseguire quanto gli veniva richiesto, poiché egli intravide, già a quel tempo, gli screzi che avrebbero portato in seguito a una rottura definitiva tra Napoleone e Alessandro. L'ammiraglio inglese, a bordo della sua Ocean, dal porto di Siracusa affermò:
«The Emperor Alexander has acted unwisely; without gaining a friend in the world, he has drawn on himself the contempt, and perhaps the hatred, of his subjects. He should have known that Buonaparte has no passion but ambition, no friend but such as can be made subservient to his aggrandisement. Having gained his object, he no longer cares for him, and by this time is ready to go to war with him upon the smallest difference.»
«L'imperatore Alessandro ha agito incautamente; senza guadagnarsi nemmeno un amico al mondo, ha tratto su di sé il disprezzo, e forse l'odio, dei suoi sudditi. Avrebbe dovuto sapere che Bonaparte non ha passione ma ambizione, nessun amico, ma solo soggetti che possono essere sottomessi alla sua aggressività. Ottenuto il suo scopo, non se ne prende più cura, e ormai è pronto ad andare in guerra con lui sulla più piccola differenza.»
Fino al 1807 le navi russe avevano attraccato tranquillamente nei porti siciliani. Nella città aretusea, ad esempio, nel 1806 attraccò la nave da guerra dei russi nella quale viaggiava il giovane ufficiale di marina Vladimir Bogdanovič Bronevskij (autore del libro Memorie di un ufficiale di Marina russo durante la campagna nel mar Mediterraneo dal 1805 al 1810[N 37]), la cui testimonianza fu significativa nell'ambiente culturale della sua patria, in quanto rappresentò per i russi una delle rare finestre aperte sul mondo siciliano, e siracusano nello specifico.[152]
Bronevskij scese a terra approfittando di una delle lunghe e frequenti soste fatte al porto di Siracusa dai militari russi e inglesi; suo è tra l'altro uno dei rarissimi apprezzamenti fatti alla contemporanea città: egli, a differenza della maggior parte dei viaggiatori, si concentrò sul lato moderno di Siracusa (che all'epoca riguardava solamente Ortigia), anziché sui resti del suo passato, definendola «una città abbastanza bella»[153] (una novità da udire per i suoi abitanti, paragonato a quanto scrivevano su di essa gli altri visitatori, specialmente inglesi, i quali, pretendendo di ritrovarvi lo splendore dell'epoca classica della quale leggevano sui libri, una volta giunti sul posto rimanevano delusi dalle sue attuali umili condizioni[N 38]).
Quando Collingwood si preparò ad attuare le direttive ricevute dalla Gran Bretagna (facendo però notare che le azioni della marina inglese contro i russi in Sicilia erano una chiara violazione della neutralità di questo paese con lo zar e una pesante ingerenza nei confronti della corona siciliana[155]) era già troppo tardi, poiché le navi russe avevano lasciato in massa le marine siciliane[155][149] (eccetto per quelle che ancora si trovavano a Palermo, che vennero detenute forzatamente[156]). La distruzione quindi non vi fu, ma vi crebbe un forte sospetto riguardo alle intenzioni dei russi sulla Sicilia. Siracusa divenne una sorvegliata speciale di questa guerra.
«...Ora la squadra russa di Sienowizrode [ Dmitrij Nikolaevič Senjavin ] attorna la Sicilia: un vascello è entrato in Siracusa, ed ha sondato il porto. Mentre ci potevano essere utili, e li abbiamo desiderati non sono mai venuti [...]»
Tilsit fu importante per Napoleone, poiché lo zar s'impegnò a rispettare il decreto di Berlino (21 novembre 1806), ovvero il severo Blocco Continentale imposto all'Inghilterra (la quale in Europa poteva così commerciare solamente con Sicilia, Portogallo e Sardegna). Ma Alessandro I ruppe la pace con Napoleone perché questi mostrò di non volergli cedere il controllo sullo stretto dei Dardanelli, sul Bosforo e sulla città di Costantinopoli (in sostanza la Russia voleva libero accesso al centro del Mediterraneo, cosa che Napoleone, pur essendo l'alleato dello zar, non concesse, contrariando grandemente Alessandro).[157] Prima di incominciare le ostilità contro i russi - campagna di Russia - Napoleone chiese la pace all'Inghilterra: egli poteva allora ritenersi soddisfatto, poiché aveva sconfitto sia la Quarta che la Quinta coalizione.
Quel che chiedeva agli inglesi era di abbandonare la Sicilia (che sarebbe rimasta su volontà di Bonaparte ai Borbone), il Portogallo e la ribellione in Spagna; i francesi a loro volta avrebbero deposto le armi nei medesimi paesi (Parigi, 17 aprile 1812).[158] La risposta di Lord Castlereagh fu che la Gran Bretagna non avrebbe tollerato alcuna corona in mano alla famiglia dei Bonaparte.[158] La trattativa di pace quindi saltò. Siracusa continuò ad essere occupata dagli inglesi.[N 39]
«Se questo quarto tentativo di pace fallirà, come sono falliti quelli che lo hanno preceduto, la Francia avrà almeno la consolazione di sapere che il sangue in procinto di scorrere di nuovo ricadrà tutto sull'Inghilterra.»
Gli abitanti della città di Siracusa erano esenti dall'arruolamento forzato effettuato dagli inglesi direttamente in territorio siracusano.[N 40] Ciononostante, essi potevano aderire volontariamente ai battaglioni, e diversi siracusani scelsero di servire la Francia di Napoleone, piuttosto che la corona borbonica o la causa inglese. Va in tal senso ricordato il siracusano Gaetano Costa: combattente sotto le insegne dell'Impero francese con i soldati del Regno di Napoli, si distinse nelle guerre spagnole e, nominato cavaliere dell'Ordine delle Due Sicilie (istituzione bonapartista), fu spedito nella guerra russa, si mise in prima linea nella battaglia di Bautzen, nella quale si guadagnò il grado di capo Squadrone e la nomina nella Legion d'onore[162] (successivamente, con il mutare delle sorti della corona servita, Costa, sotto le insegne dei Borbone, diverrà «generale degli eserciti italici del Regno»[163]).[N 41] Costa fece inizialmente parte di un battaglione comandato da un altro siracusano che scelse le insegne della Francia: Giuseppe Zenardy (soprannome datogli dai francesi, poiché egli in realtà nacque come Giuseppe Scarlata[164]): soldato nella rivoluzione francese, rimase con gli uomini di Napoleone a Parigi fino al 1806, quando venne spedito in Italia da conquistatore: entrato a far parte dell'esercito del Regno d'Italia, divenuto colonnello e posto a capo di un reggimento di cacciatori a cavallo, venne mandato dapprima a Napoli e poi nella guerra in Spagna, dove anch'egli, come il Costa, si distinse. Creato commendatore del suddetto Ordine delle Due Sicilie, fu elevato al rango di maresciallo di campo. Il comando francese lo volle in prima linea durante il tentato sbarco napoleonico in Sicilia; qui venne gravemente ferito da una cannonata a una gamba e non poté partire per la guerra in Russia.[164] La corte bonapartista gli diede il titolo nobiliare di barone.[N 42]
Lo scozzese Gould Francis Leckie e il protettorato inglese
[modifica | modifica wikitesto]Mentre si svolgeva la campagna di conquista napoleonica nelle lontane terre russe e germaniche, in Sicilia la relazione con l'Inghilterra prese a mutare: da momentanea e semplice occupazione militare, si incominciò a parlare da più parti di una possibile permanenza definitiva degli inglesi sull'isola mediterranea:
Nel settembre del 1810 il cognato di Bonaparte, Gioacchino Murat, che era divenuto re di Napoli al posto di Giuseppe Bonaparte (insignito da Napoleone della corona di Spagna), tentò - senza avere l'autorizzazione dell'imperatore dei francesi - lo sbarco in Sicilia. Esso fallì, ma allarmò molto gli inglesi, i quali, come misura precauzionale, aumentarono gli uomini a Siracusa e Augusta;[165] convinti che il prossimo assalto di Murat sarebbe stato rivolto contro una di queste due terre di mare. Il contatto culturale tra i nativi e gli occupanti quindi crebbe, e con il maturare delle tensioni politiche in tutta l'isola, la questione siciliana, ovvero la sua sorte quando la lunga guerra sarebbe finalmente giunta al termine, toccò le corde del governo inglese grazie soprattutto alla diffusione di un libro, Historical survey of the foreign affairs of Great Britain, scritto e pubblicato a Londra nel 1808[166] (e ripubblicato nel 1810)[167] da un militare e proprietario terriero scozzese di nome Gould Francis Leckie, il quale aveva vissuto dal 1801 al 1807 nel feudo aretuseo di Tremilia, che egli aveva preso in locazione, per enfiteusi.[168]
Leckie abitò in quello che fu il monastero benedettino di Tremilia (il quale poggiava le proprie basi sul convento paleocristiano di San Pietro ad Baias edificato da Gregorio Magno nel VI secolo), trasformandolo in un'elegante villa e curandone la chiesa (vi fece anche costruire un nuovo luogo di culto);[169] fece divenire quel luogo meta di molti visitatori stranieri (tra i numerosi ospiti si annoverano anche li filosofo inglese Samuel Taylor Coleridge e l'architetto prussiano Karl Friedrich Schinkel). Lo scozzese desiderava trapiantare nel siracusano, partendo dal suo terreno, il modello agrario anglosassone.[170][171] Leckie strinse molto i rapporti con i siracusani, a tal punto che chiese di entrare a far parte della «mastra nobile» (organo governativo) della città, la qual cosa non gli fu concessa, poiché i nobili locali guardavano con sospetto la sua ingerenza nella politica aretusea.[170]
Gould Francis Leckie riuscì a divenire una vera e propria «eminenza grigia»[166] tra i militari inglesi nell'isola; ospitando anche i soldati statunitensi, all'epoca presenti in città (l'ufficiale americano Stephen Decatur definì la villa di Tremilia «idilliaca», con quella vista che dava sulla baia siracusana[172]), esprimendo più volte il suo pensiero rivolto a creare un protettorato inglese sulla Sicilia agli alti comandi della Gran Bretagna.[166][173] Venne nominato agente consolare onorario del Regno Unito per la città di Siracusa.[174]
Al suo testo (in gran parte elaborato quando ancora egli risiedeva nella sua villa siracusana[173]) si attribuisce il salto di livello compiuto dagli inglesi riguardo all'interesse sullo stato governativo dell'isola. Inghilterra e Francia si erano dichiarate una «Ideological war»[175] (guerra di ideologie), oltre che una guerra fisica, nella quale i conservatori inglesi si scontravano con i rivoluzionari francesi. Leckie suggerì apertamente al governo della sua nazione di combattere Napoleone, approfittandosi della Sicilia, non con le armi ma con la politica:[176] far partire dai siciliani un movimento contro-rivoluzionario; diffonderlo in Italia e minare la stabilità di quel Codice napoleonico che il suo fondatore andava imponendo ai paesi conquistati.[177][176]
Per fare ciò era però necessario una vera riforma nel parlamento siciliano: andava creata una costituzione siciliana che, per Leckie, non doveva essere solamente basata sul modello della costituzione del Regno Unito ma doveva direttamente essere redatta dagli inglesi e fatta severamente osservare ai nativi (Leckie non nutriva alcuna fiducia nell'amministrazione siciliana, che egli definiva perversa). Lo scozzese elaborò allora per i suoi compatrioti quella che venne chiamata «strategia insulare»[173] volta a creare un «impero britannico delle isole»,[173] con il quale sconfiggere l'espansione francese: la Gran Bretagna possedeva già l'isola di Malta e le isole Ioniche (aveva inoltre strategicamente posseduto sia la Corsica sia l'isola d'Elba); l'isola di Sicilia, vero centro del Mediterraneo, sosteneva Leckie, al momento occupata militarmente, doveva entrare a far parte stabilmente dei possedimenti britannici.[173][178]
Dopo varie discussioni costituzionali, giunse quindi nell'estate del 1811 Lord William Bentinck: comandante in capo delle forze britanniche di Sicilia, generale di brigata nell'esercito di Arthur Wellesley, I duca di Wellington e ministro plenipotenziario alla corte dei Borbone a Palermo. Bentinck, inizialmente, sposò solo in parte il pensiero di Leckie: riteneva necessaria una costituzione, ma voleva che essa fosse redatta dai siciliani e non dagli inglesi. Non parlava inoltre, a quel tempo, di annessione dell'isola alla Gran Bretagna, ma giungerà infine, per compiere gli obiettivi che l'Inghilterra si era prefissata con la Sicilia, a sacrificare l'attuale re e l'attuale regina di questo Regno.
Siracusa e la corte borbonica
[modifica | modifica wikitesto]Siracusa aveva un rapporto particolare con i Borbone: essa era sempre stata vista dalla corte reale nel napoletano come una terra che sorgeva sommamente lontano dal loro potere centrale, e, conseguentemente, venne tenuta ai margini della società regnicola: questa fu l'impressione che ebbe il Landolina[179] quando insieme a Gould Francis Leckie intraprese, nei primi dell'800, un viaggio di piacere (per il primo) e d'affari (per il secondo) che da Siracusa condusse i due a Napoli (in questa occasione il Landolina fece conoscere il papiro a numerose personalità influenti estere, viaggiando egli anche a Roma: curioso fu uno dei suoi tanti incontri che qui ebbe con l'erede al trono della Polonia, Stanisław Poniatowski, che aveva conosciuto per la prima volta in Sicilia nel 1785, il quale volle sapere dal Landolina quale fosse il punto migliore nella sua villa romana per piantarvi il papiro siracusano).[180]
Ciononostante, il suo nome e la sua storia erano cari alla famiglia reale: basti ricordare che nel 1799 uno dei soli due vascelli da 74 cannoni della Real Marina borbonica (i precedenti erano stati perduti in un incendio[181]) portava il nome di Archimede (dal celebre scienziato aretuseo) e divenne il vascello usato dal re per giungere al suo secondo e ultimo esilio in Sicilia (l'altro vascello da 74 bocche di fuoco era il Sannita),[181] mentre una delle quattro fregate da 40 cannoni era stata battezzata Aretusa (la famosa sopracitata ninfa, nota persino a Napoleone[N 44] e alla quale si appellò anche Horatio Nelson).
Il soggiorno forzato dei sovrani sull'isola rappresentò, in parte, un'occasione di avvicinamento tra gli abitanti di Siracusa e i loro sconosciuti sovrani (prova ne fu la visita effettuata dal re Fedinando nel 1806), ma questo rapporto venne pesantemente segnato dalla presenza inglese: Siracusa rappresentò, infatti, uno dei principali motivi di spaccatura tra la corte siciliana e il governo inglese: fin da quando Cuthbert Collingwood sottraette, di fatto, i siracusani al controllo dei Borbone, questi capirono che l'Inghilterra era per loro una pericolosa potenza protettrice. In special modo fu la regina Maria Carolina d'Austria - un tempo benevola con l'alleato d'oltremànica - la più risentita dal nuovo atteggiamento.[N 45]
Lord William Bentinck entrò in forte conflitto con l'Asburgo-Lorena, perché vedeva in essa l'ostacolo principale per la politica inglese da attuare nell'isola. La regina non si rassegnava allo strapotere che la Gran Bretagna aveva sul suo Regno: Ferdinando IV appariva indifferente alle mosse degli inglesi, ma non Maria Carolina. La Sicilia era militarmente divisa in due:[184] nella parte occidentale vi erano i soldati napoletani (Palermo, Termini, Corleone, Carini), mentre in quella orientale (Messina, Milazzo, Augusta e Siracusa) l'esercito inglese. La famiglia reale si vide dimezzata i poteri della propria corona e questo indisponeva enormemente la consorte di Ferdinando.
La posizione della regina precipitò quando Napoleone Bonaparte strinse un forte legame di parentela con lei: andando a sposare nel 1810 la figlia dell'imperatore austriaco Maria Luisa d'Asburgo-Lorena, ovvero la nipote di Maria Carolina d'Austria e Ferdinando IV di Borbone (nata dalla loro primogenita Maria Teresa Borbone di Napoli e Sicilia).
Maria Carolina venne accusata finanche del tentato sbarco in Sicilia da parte di Murat: sostennero gli inglesi che essa fosse d'accordo con Napoleone, per fare invadere il Regno dai francesi e consegnare al nuovo nipote la corona siciliana:[185] si disse anche che Napoleone boicottò Murat perché non voleva più attaccare i sudditi della sua parente.[186][N 46] Di certo vi è che prima del 1810 i due si odiassero e si scambiassero epiteti ingiuriosi[187] (Maria Carolina, parlando del nuovo nipote acquisito, ovvero di Napoleone, asserì di doversi rassegnare a divenire la «nonna del diavolo»[188]). Oltre ciò, il grande timore dell'Inghilterra consisteva nel fatto che i siciliani, stanchi dei due sovrani, visti come tiranni, dichiarassero la Repubblica e si dessero in mano ai francesi. Lord William Bentinck valutò quindi come necessario l'allontanamento forzato della regina e l'abdicazione al trono di Ferdinando.
In tale contesto va segnalata l'opera svolta dal siracusano Tommaso Gargallo, il quale fu al centro di una «clamorosa proibizione»[189] imposta a un suo sonetto che criticava la sottomissione dei suoi sovrani agli inglesi; paragonando la monarchia a un impiccato la cui corda era in mano alla Gran Bretagna.[189] Gargallo fu immediatamente raggiunto da un emissario della corte napoletana, il quale gli impose di ritirare le copie del sonetto incriminato, ed evitare di scontentare con quelle parole il re e gli inglesi (la proibizione però rese ancor più facile la diffusione del sonetto).[189]
Tommaso sosteneva che quando Siracusa era integrata nella Camera reginale (istituzione risalente alla sua epoca spagnola che la separava in tutto e per tutto dal governo del Regno di Sicilia, essendo una possessione privata delle regine di Spagna) essa stava molto meglio, e che per ritornare a quella prosperità, la Camera doveva essere riaperta (la Camera era stata definitivamente abolita da Carlo V d'Asburgo nel 1538, dopo la morte dell'ultima regina dei siracusani: la nipote del re Luigi XII di Francia e infante del Regno di Navarra, Germana de Foix) e la regina siciliana Maria Carolina d'Asburgo-Lorena doveva prendere il titolo di nuova regina dei Siracusani[190] (ella, tra l'altro, era la discendente diretta, in quanto sola figlia vivente di Maria Teresa d'Austria, dell'ultimo erede degli Asburgo, Carlo VI, che fece di Siracusa la sua roccaforte finale nel 1735, quando dovette cedere l'isola ai Borbone perché sconfitto dalla coalizione franco-anglo-spagnola).
Maria Carolina d'Austria aveva interesse in ciò che concerneva i siracusani; nel giugno del 1807 così rispose al Senato aretuseo che le chiedeva di intervenire a fronte del drammatico stato nel quale si ritrovava la città e la sua popolazione:
«Codesto Senato conti sulla costante mia protezione, protezione per una città compresa nella Real Camera Reginale... avendo a cuore il bene e la felicità di Siracusa, stata sempre ragguardevolissima ed attaccatissima in tutti i tempi ai suoi padroni.»
Anni prima Tommaso Gargallo affermava: «Chi è più felice di noi se l'augusta Maria Carolina particolarmente assumesse la protezione e l'immediata giurisdizione di Siracusa divenuto suo patrimonio?»[192] Tuttavia, la proposta del siracusano non trovò terreno fertile. I tempi erano ormai mutati. Però, sotto l'occupazione inglese, Tommaso e Maria Carolina si avvicinarono molto: lei lo convocò a corte ed ebbe con lui un serissimo colloquio durante il quale lo convinse ad accettare nel 1811 il ministero della Guerra e della Marina per conto dei Borbone (era maresciallo di campo al momento della nomina); gli diedero inoltre la reggenza di una delle due Camere del Supremo Consiglio di Cancelleria; incarichi che gli procurarono gravi turbamenti, essendo quello il periodo nel quale gli inglesi erano decisi a dare a tutti i costi una costituzione ai siciliani, mentre i monarchi - soprattutto la regina - erano assolutamente restii al proposito; situazione che quindi provocò disordini e arresti nell'isola.[193]
La vicinanza di Gargallo alla corte borbonica pare recasse dei vantaggi alla popolazione aretusea: sostengono infatti alcune fonti che fu grazie alla sua influenza sui reali, e in particolar modo al suo appoggio dato ai Borbone in questi difficili momenti, se Siracusa ottenne, qualche anno dopo (1816), il titolo di capoluogo siciliano della nuova provincia borbonica sud-orientale.[194][N 47]
Maria Carolina d'Austria, che aveva la fama di essere una tiranna e una donna senza scrupoli (suoi furono gli ordini con i quali si autorizzò il massacro dei repubblicani napoletani nel 1799, attuato con la connivenza di Horatio Nelson[196]), finì per essere accusata da Lord William Bentinck di «connivenza con il nemico»[197] e nel 1813, dopo forti pressioni inglesi, scelse la via dell'esilio in Austria. Ella morì appena un anno dopo la sua partenza dalla Sicilia.
Nel frattempo re Ferdinando, che Bentinck aveva costretto all'abdicazione (ufficialmente Ferdinando si era detto malato e quindi costretto dalla salute a ritirarsi) per portare a termine la costituzione siciliana nel 1812, dando i poteri dell'alter ego al figlio del sovrano Francesco I, aveva intrapreso una relazione amorosa con la nobile siracusana Lucia Migliaccio, 12ª duchessa di Floridia e principessa di Partanna (titolo derivatole dalle prime nozze con il principe Grifeo, del quale rimase vedova):[N 48] i due si sposarono nel novembre del 1814, in gran segreto, a Palermo, appena due mesi dopo la morte di Maria Carolina, con la forte contrarietà di Francesco I (il quale dava adito a tutte le accuse di libertinaggio che circolavano sulla siracusana[198]), che non accettò mai l'ingresso di Lucia nella famiglia reale. Il loro fu un matrimonio morganatico (ovvero non le fu concesso il diritto del trono).[198] I siracusani le si affidarono comunque, contando sulla sua intima vicinanza al re per invogliarlo a far migliorare le condizioni sociali della sua terra natale.[199]
Durante l'esilio forzato dei Borbone in Sicilia, il 22 marzo 1813, nacque il terzo figlio del principe ereditario Francesco I e della sua consorte Maria Isabella di Borbone-Spagna: il principe Leopoldo di Borbone-Due Sicilie, al quale fu dato all'età di 3 anni il titolo di «conte di Siracusa»: fino a quel momento l'ultimo ad avere avuto questo titolo era stato il normanno Tancredi, nei tempi della medievale Contea siracusana (Leopoldo, in seguito, diverrà noto per la scelta di schierarsi contro la sua famiglia e la causa borbonica, aderendo ai moti detti risorgimentali).
Il tentativo di pace: Murat e Bentinck
[modifica | modifica wikitesto]Il 12 dicembre del 1813 Lord William Bentinck ricevette a Siracusa il ministro Mario Schininà marchese di Sant'Elia (dalle origini siciliane e più precisamente iblee[N 49]), mandato segretamente dal cognato di Napoleone e re del Regno di Napoli, Gioacchino Murat,[N 50] che intendeva concludere con la Gran Bretagna una pace separata: Murat non stava più al fianco di Napoleone Bonaparte (quest'ultimo, saputo del tradimento, si mostrerà scioccato e incredulo, salvo poi perdonare il suo maresciallo dell'Impero e volerlo nuovamente con sé[200]).
Ciò che Murat voleva dagli inglesi era un trattato di pace, poiché l'Austria di Francesco II d'Asburgo-Lorena, nonostante la parentela che si era venuta a creare con Napoleone (Francesco II era il nonno materno del figlio di Napoleone, nonché suocero del celebre generale), aveva deciso di entrare ugualmente nella Sesta coalizione e di stipulare un'alleanza con Gioacchino Murat, il quale prima d'impegnarsi con gli austriaci voleva, però, anche la certezza di una pace con l'Inghilterra: questo il motivo che condusse il suo ministro Schininà nella città aretusea, dove si trovava Bentinck.
Il Lord inglese, tuttavia, si mostrò da subito restio (egli non credeva alla buona fede di Murat e sosteneva che accordarsi con lui fosse pericoloso e senza senso), e dichiarò all'emissario napoletano di non disporre dei poteri necessari per firmare alcuna pace, al che Schininà gli rispose di concedere al suo re almeno un armistizio (sarà infine Lord Castlereagh, nel gennaio 1814, a conferire a Bentinck tale facoltà, obbligandolo a firmare per conto dell'Inghilterra la cessazione immediata delle ostilità tra napoletani e inglesi, tradendo così i Borbone).[201]
Mario Schininà, inizialmente, era sbarcato il 27 novembre a Palermo, alla ricerca del comandante in capo delle forze britanniche sull'isola, ma gli venne detto che Lord William Bentinck non si trovava alla corte palermitana, poiché in quel periodo risiedeva nella Sicilia orientale. Quindi l'emissario di Gioacchino si mise in viaggio e giunse a Siracusa: qui chiese il permesso di conferire con l'inglese, ottenendolo.
L'evoluzione dei rapporti con la Gran Bretagna
[modifica | modifica wikitesto]Le ragioni che avevano spinto Bentinck nel siracusano in quei momenti concitati (mentre il Lord si trovava a Siracusa, Napoleone veniva circondato dai suoi nemici in Francia[N 51]) erano dovuti alla volontà degli inglesi di diffondere tra i siciliani i principi costituzionali da poco adottati, anche se, come sottolineato da numerosi storici «si credette allora di scorgere in lui [in Bentinck] atti e parole di senso un po' arcano, un po' equivoco, tale da ingenerare il sospetto di mire più ambiziose e recondite dell'Inghilterra sulla Sicilia».[202]
Lord William era giunto in città il 9 dicembre, dopo aver visitato Augusta l'8. Venne accolto con grande calore dal popolo e la nobiltà lo coinvolse in danze, canti e luminarie (egli tra l'altro si ritrovò tra i siracusani in una ricorrenza per questi speciale: il 13 dicembre, il giorno della festa di Santa Lucia, loro patrona e illustre concittadina).[204] I territori dell'ex provincia siracusana furono tra i più meticolosamente percorsi dal Lord inglese: difatti qui, egli, non si limitò al solo centro principale dell'area e fece tappa anche ad Avola, a Noto, a Modica, a Caltagirone, per poi inoltrarsi nella Sicilia centrale e in pochi giorni partire per Napoli, dove lo attendeva Murat (informato nel frattempo da Schininà del momentaneo fallimento della missione siracusana).[205]
Bentinck in quei tempi era visto come un «dittatore» (per via dell'esilio della regina e dell'allontanamento del re dagli affari siciliani).[206] Forte era il sospetto che il suo «petit voyage» (come lo chiama Aceto; tra i più accesi costituzionalisti del 1812)[205] avesse non come scopo l'incitamento alla libertà dell'isola, ma piuttosto il preparare il popolo a un'eventuale necessaria annessione della loro terra alla nazione d'oltremanica che la proteggeva. Sospetti che sfociarono nello scandalo quando il principe ereditario rese pubblica una lettera che il Lord gli aveva spedito mentre si accingeva a giungere nel siracusano (il 3 dicembre 1813[207]), dove suggeriva a Francesco I di rinunciare alla Sicilia; di cederla all'Inghilterra e di ottenere in cambio una compensazione in denaro.[208]
Giunta al governo di Londra, la lettera richiese la smentita ufficiale di Lord Castlereagh, il quale dovette rassicurare Francesco I che gli inglesi non erano lì per conquistare l'isola.[209] Tuttavia Bentinck non fu richiamato,[210] come invece avrebbero desiderato i Borbone - profondamente turbati dall'evolversi della situazione[209] -, ed egli, pur specificando al principe ereditario, in maniera poco convincente,[211] che quelle parole facevano solo parte di un suo «sogno filosofico»,[207] poté ribadire chiaramente a Lord Castlereagh, il 6 febbraio 1814, che i britannici avevano l'opportunità di far divenire la Sicilia «la più splendida gemma della corona d'Inghilterra»; essa sarebbe venuta subito dopo l'Irlanda[211] (il cui Atto di Unione era ancora vivido, essendo avvenuto nel 1800). Né queste furono parole pronunciate unicamente da Lord William Bentinck, poiché, già prima di lui, altre illustri figure inglesi spedite da Londra sull'isola avevano espresso il medesimo concetto, auspicando l'annessione: va ricordato in tal senso l'ingegnere militare Charles Pasley, che con il suo scritto An Essay on the Military Policy and Institutions of the British Empire (il primo nel suo genere sulla geopolitica, nel quale si diceva, a chiare lettere, che l'Inghilterra doveva annettere al Regno Unito la Sicilia[212]) fu insieme allo scozzese Leckie il promotore più influente riguardo al possibile futuro di una Sicilia unita alle isole britanniche.
Allo stesso periodo interventista siciliano appartengono anche il generale John Moore (all'epoca comandante in seconda) e Lord Amherst (William Pitt Amherst); che fu l'imminente predecessore di Bentinck e colui che richiese più poteri per gli inglesi nel governo dell'isola (quei poteri consentirono a Bentinck di esiliare la regina ed estromettere il re): Moore, in particolare, anch'egli scozzese, durante il suo mandato fu ospite di Gould Francis Leckie (e passò diverso tempo pure con Collingwood), il quale gli fece visitare la città e poi lo portò nella sua casa di Tremilia. Moore valutò le fortificazioni siracusane (restaurate dagli inglesi) sicure, ma desiderava ancora più protezione.[213]
Il militare scozzese riteneva l'annessione della Sicilia alla Gran Bretagna l'unico modo per conquistare il cuore del popolo siciliano, che in quel momento vedeva gli inglesi solamente come una forza belligerante sul proprio suolo. Moore incolpava la corte dei Borbone per i soprusi e le condizioni misere nelle quali trovò gli abitanti di Sicilia.[215] Moore, a causa delle proprie idee rivoluzionarie, finì per litigare con gli altri emissari inglesi e sia lui sia il connazionale Leckie dovettero lasciare l'isola (Leckie per essere entrato pubblicamente in contrasto con la corte borbonica).[215]
Sul sentimento dei siracusani riguardo alla presenza inglese, non vi sono purtroppo giunte molte testimonianze. È comunque certo che i britannici fossero assolutamente influenti negli affari della città aretusea: furono ad esempio gli inglesi che, fin dal loro arrivo in massa (nel 1807), impedirono il commercio con i soldati russi, costringendo le navi dello zar a lasciare il porto di Siracusa,[216] e al medesimo tempo furono sempre gli inglesi ad allontanare anche gli americani (riferiscono alcune testimonianze di soldati statunitensi che gli inglesi, quando sopraggiunsero, occuparono con le loro truppe l'ospedale cittadino che i siracusani avevano riservato esclusivamente ai soldati giunti dall'America).[217]
L'Inghilterra desiderava dei grandi cambiamenti per i siciliani: di Siracusa con la nuova costituzione a Londra si disse:
«Then may we confidently hope to see Sicily rise again to her ancient splendor. Syracuse may once more become one of the most opulent ports of the Mediterranean [...] England will hold forth an incontrovertible testimony to other nations of the purity of her views...»
«Allora possiamo sperare con fiducia di vedere la Sicilia risorgere al suo antico splendore. Siracusa potrebbe diventare ancora una volta uno dei porti più opulenti del Mediterraneo [...] L'Inghilterra darà alle altre nazioni una testimonianza inconfutabile della purezza delle sue vedute...»
La costituzione siciliana (che poté vedere la luce solo grazie alla costante supervisione armata dei britannici) era stata basata, così come i tanti discorsi annessionistici, sull'antico legame medievale che univa inglesi e siciliani, ovvero il tempo dei Normanni (sia la Sicilia che l'Inghilterra erano state infatti conquistate da essi durante l'era dei vichinghi); si poteva quindi ritornare a quell'antica unione in nome dei nuovi acquisiti diritti siciliani.[218][219] Tuttavia gli eventi susseguitisi non lo consentirono.
La fine della guerra
[modifica | modifica wikitesto]Sia l'ambasciatore russo Dimitrij Pavlovič Tatiščev[220] che il membro della famiglia reale francese, il duca d'Orléans Luigi Filippo,[221] misero più volte in guardia i Borbone, sostenendo fermamente che gli inglesi, e in particolare il militare e plenipotenziario Lord William Bentinck, stessero tramando un piano occulto per impossessarsi della Sicilia, ma prima che questi presunti disegni potessero in qualche modo attuarsi, avvenne la caduta di Napoleone, che sconvolse ogni cosa: il generale firmò il 14 aprile 1814 il cosiddetto trattato di Fontainebleau, con il quale, per ottenere la pace e la fine della guerra, abdicava e si consegnava agli inglesi, che lo esiliarono all'isola d'Elba (egli si stabilì a Portoferraio che, a titolo di curiosità storica, prende il nome dall'attività estrattiva del ferro documentata all'Elba per la prima volta quando gli antichi Siracusani ne presero possesso per sfruttarne le miniere ferrose[N 53]), della quale divenne sovrano.
«Era perciò facile prevedere dove si sarebbe arrivati, se l'improvvisa caduta di Napoleone non l'avesse impedito. A quella caduta si deve l'improvviso cambiamento della politica inglese della Sicilia.»
Se Napoleone non avesse rinunciato al suo trono imperiale, sostengono diverse fonti, la Gran Bretagna avrebbe compiuto il passo decisivo per l'annessione della Sicilia. Ma con il nuovo scenario, per raggiungere l'accordo di pace, era assolutamente necessario che essa rinunciasse alle sue mire ambiziose, poiché la Francia «non avrebbe mai accettato di lasciare l'isola agli inglesi».[220]
Napoleone decise di fuggire dall'Elba e rientrare a Parigi. I suoi nemici si riunirono allora, ancora una volta, in una nuova alleanza: la Settima coalizione. Dopo il periodo de les Cent Jours, l'esercito di Napoleone Bonaparte combatté la sua ultima battaglia a Waterloo, dalla quale uscì sconfitto il 18 giugno 1815. Gli inglesi divennero molto più severi con Napoleone e lo esiliarono lontanissimo dall'Europa, sull'isola di Sant'Elena, dove voleva confinarlo, fin da principio, il suo influente ex-ministro Talleyrand;[223] un territorio britannico d'oltremare situato nell'oceano Atlantico meridionale (Napoleone morirà a Sant'Elena nell'anno 1821).
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