Giovanni Mangone (Caravaggio, fine XV secolo – Roma, 25 giugno 1543) è stato un architetto e scultore italiano, attivo quasi esclusivamente a Roma durante il Rinascimento e il Manierismo.
Biografia
[modifica | modifica wikitesto]Nato verso la fine del quindicesimo secolo da Francesco, originario di Caravaggio in Lombardia, secondo Giorgio Vasari studiò con lo scultore e architetto Andrea da Fiesole.[1] A Roma, dove visse in un palazzo in via delle Coppelle, tra Sant'Agostino e Palazzo Baldassini, all'inizio della carriera ebbe diversi incarichi; dal 1527 al 1532 fu sovrintendente alla fonte di S. Pietro; sino al 1541 fu curatore del soffitto in foglia d'oro della Basilica di Santa Maria Maggiore; dal 1528 e sino alla morte fu architetto della Camera Apostolica.[1]
Nel 1534 cominciò la sua collaborazione con Antonio da Sangallo il Giovane: insieme allestirono apparati effimeri in legno per celebrare l'incoronazione di Papa Paolo III (r. 1534-1549), e nel 1536 per la visita a Roma dell'Imperatore Carlo V d'Asburgo.[1]
Nel 1537 Mangone modificò il convento dei Serviti nei pressi della Chiesa di San Marcello al Corso, la quale fu da lui completata.[1] Tuttavia, a causa di successive modifiche seicentesche, i suoi interventi presso il convento non sono più riconoscibili.[1]
Forse dal 1532 progettò per Angelo Massimo un palazzo, originariamente affacciato sulla Via Papalis ora Via del Governo Vecchio, a sud di Piazza Navona, nel rione Parione.[1][2] L'edificio, che nel 1537 era stato completato fino al piano nobile, venne erroneamente chiamato "di Pirro" a causa di una statua (in realtà rappresentante Marte) un tempo esposta in una nicchia in fondo al cortile, e ora ai Musei Capitolini.[1] L'edificio è adiacente a Palazzo Massimo alle Colonne, realizzato negli stessi anni da Baldassarre Peruzzi e commissionato dal fratello di Angelo, Pietro.[1][2]
Palazzo Massimo di Pirro è la sola opera architettonica certa del Mangone ancora esistente.[1] In questo edificio il suo modello è Antonio da Sangallo il Giovane, del quale egli adotta schemi tipologici e stilemi.[1] In ogni caso, in diversi elementi, come la soluzione concava adottata per il cortile, dovuta all'irregolarità dell'area a disposizione, l'adozione di logge con architrave, l'uso di elementi decorativi quali mensole, l'equilibrio della facciata, egli mostra uno stile originale.[1][2][3]
Basandosi sull'analisi stilistica del Palazzo di Pirro, sono stati attribuiti a Mangone anche il palazzo Alicorni a Borgo Vecchio (poi piazza Rusticucci), nel rione di Borgo (demolito nel 1931 e poi ricostruito da Marcello Piacentini) e, meno sicuramente, il Palazzetto de' Vellis in piazza di Santa Maria in Trastevere.[1]
Come scultore, solo due opere gli sono state attribuite con certezza: mentre appare ben fatto il monumento funebre del cardinale Willem Enckenwoirt (morto nel 1534) a Santa Maria dell'Anima, dove è evidente un influsso di Michelangelo, quello del vescovo di Chiusi e governatore di Bologna Gregorio Magalotti a Santa Cecilia in Trastevere, scolpito nel 1538, ha uno stile freddo.[1]
Come architetto militare, nel 1542 Mangone venne convocato insieme ad altri esperti del ramo da papa Paolo III, il quale voleva potenziare le fortificazioni di Borgo: in quella egli occasione presentò un progetto.[1] L'anno successivo fu attivo a Sermoneta, lavorando alle mura della città.[1] Mangone era anche un antiquario appassionato, raccogliendo nel suo palazzo una notevole collezione di pezzi architettonici e scultorei.[1] Nel 1543, definendosi scultore, fu tra i membri fondatori della "Compagnia di San Giuseppe di Terra Santa alla Rotonda", più tardi conosciuta come la Congregazione dei Virtuosi al Pantheon, uno dei principali centri di dibattito sulle antichità e l'architettura di Roma.[1]
Il 25 giugno 1543 egli fece testamento, morendo forse lo stesso giorno.[1]
Valutazione critica
[modifica | modifica wikitesto]Come scultore, Mangone seguì lo stile di Andrea Sansovino, raggiungendo risultati contrastanti.[1] Come architetto, la sua formazione originale di scultore e scalpellino modanatore gli permise di raggiungere un notevole equilibrio di proporzioni.[1] Inoltre, in architettura Mangone fu tra i primi seguaci dello stile "severo" iniziato da Antonio da Sangallo il Giovane.[1] Con il Palazzo di Pirro Mangone creò un buon esempio di architettura "quotidiana" il quale trovò molti imitatori nella seconda parte del sedicesimo secolo.[1] Come architetto militare, benché fosse stato elogiato dall'ingegnere militare Francesco De Marchi, l'assenza di opere ancora esistenti di sicura attribuzione rende difficile una valutazione del suo reale contributo a questo settore.[1]
Note
[modifica | modifica wikitesto]Bibliografia
[modifica | modifica wikitesto]- Cecilia Pericoli Ridolfini (a cura di), Rione 6. Parione, in Guide rionali di Roma, vol. 1, 2ª ed., Roma, Fratelli Palombi Editori, 1973, SBN IT\ICCU\RMR\0004720.
- Laura Gigli, Guide rionali di Roma, Borgo (III), Roma, Fratelli Palombi Editori, 1992, ISSN 0393-2710 .
- Adriano Ghisetti Giavarina, MANGONE, Giovanni, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 69, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2007. URL consultato l'11 Novembre 2015.
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